Holly Bourne affronta con The Places I’ve Cried In Public la complessa, e tristemente attuale, tematica degli abusi emotivi e fisici subiti durante quella che si considerava essere una storia d’amore, firmando un romanzo che si rivolge con onestà a un target adolescenziale non risparmiando però dei passaggi realistici e brutali.
Il risultato finale è simile a quello ottenuto da Jay Asher con Tredici – 13 Reasons Why: parlare di argomenti difficili attraverso la prospettiva di una giovane che ripercorre quanto le è accaduto per provare a capire gli errori compiuti, quali segnali non aveva colto e cercare di superare il trauma per iniziare un nuovo capitolo della propria vita.
Al centro della trama c’è Amelie, una studentessa del liceo che si trasferisce con i suoi genitori in una nuova città, dovendo lasciarsi alle spalle gli amici e un ragazzo che ama. La ragazza è molto timida, è brava come cantautrice e ha dei gusti un po’ vintage in fatto di look. Amelie sembra stia per trovare la giusta compagnia di amici quando fa la conoscenza di Reese, un ragazzo carismatico che come lei è appassionato di musica, e la sua vita cambia drasticamente. Il rapporto con il giovane è all’insegna di pressioni psicologiche e incomprensioni e Reese, come l’avevano avvisata, inizia a dimostrare di essere possessivo, narcisista e incapace di provare empatia nei confronti del prossimo. Il romanzo segue Amelie mentre va in tutti i luoghi in cui ha pianto a causa di Reese e permette così ai lettori di scoprire le tappe che l’hanno portata in terapia e a dover cercare di dare un senso a quanto le è accaduto.
Holly Bourne inizialmente rende un po’ complicato immedesimarsi in Amelie e alla sua incapacità di andare oltre le apparenze quando incontra Reese, tuttavia il libro progressivamente rende maggiormente comprensibile il suo bisogno di affetto, la solitudine, le insicurezze e il desiderio di avere qualcuno accanto a lei, elementi che la rendono “cieca” di fronte a tutti i segnali negativi che contraddistinguono la sua relazione. L’ultima parte del libro diventa più dura e straziante e rende impossibile non pensare a quante persone intorno a noi potrebbero trovarsi in una situazione analoga a quella della giovane protagonista senza che nessuno se ne accorga o sottovaluti quello che stanno vivendo.
The Places I’ve Cried In Public sostiene dei messaggi molto importanti, ricorda l’importanza di confidarsi con esperti in psicoterapia, di perdonare se stessi e gli alti e di saper riconoscere chi merita davvero di far parte della nostra vita.
La scrittrice, attraverso la voce di Amelie, così fragile e al tempo stesso determinata a trovare la propria forza interiore, mette i propri lettori di fronte a un racconto realistico e molto duro che non può lasciare indifferenti nonostante una narrazione non priva di difetti.
Il romanzo di Holly Bourne sarebbe perfetto, per come è strutturato e per i suoi contenuti, per diventare una serie televisiva in grado di rivolgersi senza filtri, proprio come accaduto con la prima stagione di Tredici, ai giovani e agli adulti per parlare di una realtà che andrebbe mostrata, capita e analizzata.
La citazione:
“Abuse is also when your personality is attacked, not just your body. Abuse is feeling like you constantly have to walk on eggshells around the person you’re supposed to love. Abuse is being cut off from your friends, even if you could never prove it was their idea you did it. Abuse is being made to feel you’re going crazy. Abuse is being lured in with grand promises and wild declarations of love that can never be sustained. Abuse is being pushed into doing sexual things you’re not comfortable with. That is also called rape, another word that has taken me some time to feel belongs to me. Abuse is intentionally humiliating you. Abuse is constantly blaming you for everything, and never them.”