Caro Evan Hansen, dopo il successo ottenuto a Broadway, approda sul grande schermo con un film diretto da Stephen Chbosky (Noi siamo infinito, Wonder) che mette a frutto la sua sensibilità per adattare una storia non priva di insidie e che deve fare i conti con le difficoltà legate a un passaggio dal palco alle sale non sempre vincente.
La presentazione al Toronto Film Festival (in Italia l’appuntamento è per la presentazione ad Alice Nella città in attesa della distribuzione ufficiale nei cinema il 2 dicembre) e il debutto negli Stati Uniti ha ottenuto un’accoglienza non del tutto positiva, ma a prescindere dal risultato finale non del tutto all’altezza del valore della produzione teatrale, la storia del giovane che soffre di ansia sociale, interpretato a teatro e sul set cinematografico da Ben Platt (The Politician) possiede tutti gli elementi necessari a rendere la visione utile, significativa e necessaria agli adolescenti, e non solo, per il modo in cui affronta in modo realistico, e a tratti persino cinico, le difficoltà quotidiane che le persone vivono nella società contemporanea.
Al centro della trama c’è il giovane Evan (Platt) che si ritrova, involontariamente, a essere coinvolto nella vita della famiglia di un suo compagno di classe, Connor (Colton Ryan), che si è tolto la vita. Il teenager, incapace di far soffrire ancora di più i genitori del teenager (Amy Adams e Danny Pino), finge di essere stato in segreto il miglior amico di Connor e, quella che inizialmente sembrava una bugia innocente, inizia ad avere delle conseguenze inaspettate, facendolo avvicinare a Zoe (Kaitlyn Dever), la ragazza dei suoi sogni, all’amico di famiglia Jared (Nik Dodani) che lo aiuta a creare una finta corrispondenza per mantenere la bugia, ad Alana (Amandla Stenberg) che coglie l’occasione per provare a fare la differenza tra i corridoi della scuola, e a se stesso, pur allontanandolo dalla madre Heidi (Julianne Moore), che da quando il padre di Evan li ha lasciati fa fatica a gestire la sua situazione di madre single che deve lavorare e prova in tutti i modi a sostenere un ragazzo sensibile e alle prese con l’ansia.
Il musical con le canzoni di Benji Pasek e Justin Paul è riuscito a trovare il modo di entrare in connessione con gli spettatori portando in scena una rappresentazione dura e realistica di cosa vuol dire provare a diventare adulti ed essere genitori in una società in cui la pressione sociale sta aumentando esponenzialmente grazie ai social media, in grado di promuovere iniziative positive e al tempo stesso, in molti casi, di minare profondamente l’autostima e la sicurezza di chi li utilizza, diventando una finestra in cui ci si propone al mondo spesso venendo totalmente ignorati o, ben peggio, criticati.
Caro Evan Hansen pone al centro della propria storia proprio il bisogno di essere visti, ascoltati, notati e capiti che accomuna tutte le persone, a ogni età, dando spazio a come questo istinto umano possa avere un risvolto positivo creando empatia e legami e, al tempo stesso, rischiare di far sentire ancora più soli ed emarginati. Il racconto firmato dal duo Pasek e Paul con lo sceneggiatore Steven Levenson porta in scena un gruppo di personaggi che non diventano mai “eroi” e continuano a compiere errori, faticando a trovarare l’equilibrio in grado di tenerli a galla nonostante le tante difficoltà.
Caro Evan Hansen ha il grande merito di rappresentare la fatica che, soprattutto i giovani, vivono nel tentativo di entrare a far parte di un gruppo e sentirsi accettati dai propri coetanei, spesso sacrificando nel complicato processo il compito ben più importante di trovare la propria identità e strada per un futuro sereno.
Il musical non propone mai modelli, ma persone a pezzi per vari motivi, dalla fine di un amore alle dipendenze, dall’ansia sociale alle liti in famiglia, e, soprattutto, ritraendo le insicurezze profonde che spesso si nascondono dietro un’apparente normalità e serenità.
Non ci sono adulti da prendere a esempio, non si dà spazio a teenager modelli di vita, non c’è spazio per insegnanti in grado di ispirare o leader da seguire, ma persone comuni e complicate che affrontano perdite, lutti, solitudini e istinti suicidi senza mai avere a portata di mano la risposta alle proprie domande, che sembra sempre sfuggente e sempre più lontana. Distanziandosi dai classici schemi dei racconti di formazione, le vicissitudini che affronta Evan sono un mix di sbagli animati da buone intenzioni e paure profonde, di cui non si comprende la portata fino a quando forse è troppo tardi. La rete complessa di relazioni e rimpianti che emergono progressivamente viene sostenuta da un’idea importante e che spesso viene trattata in modo stucchevole e stereotipata: nessuno merita di essere dimenticato o “scomparire”. Partendo da Waving through the window e passando poi per la hit You Will Be Found, fino a For Forever, i brani di Pasek e Paul esprimono in modo accurato e coinvolgente le emozioni provate da chi deve fare i conti con solitudine, incomprensione, depressione e ansie che hanno un impatto a volte devastante nella vita, soprattutto dei più giovani. L’aggiunta di The Anonymous Ones, canzone ideata in collaborazione con l’attrice Amandla Stenberg, enfatizza ancora di più il desiderio di ricordare agli spettatori che bisogna andare oltre l’apparenza per capire veramente una persona, non lasciandosi ingannare dall’immagine costruita per gli altri.
Caro Evan Hansen, pur avendo al centro il tema del suicidio, non è una storia sul lutto e sulle conseguenze della morte spesso all’insegna dell’ipocrisia e dei finti rimpianti, ma si concentra invece sul desiderio di vivere, amare e creare dei legami e uscire dalla convinzione di essere totalmente invisibili, condannati ad andare incontro agli ostacoli da soli rimanendo anonimi e senza che nessuno si accorga di quanto ci sta accadendo. Non si tratta di un ritratto di singoli individui, ma di diverse generazioni che faticano a trovare punti di contatto, tra genitori distanti che non capiscono del tutto i propri figli, teenager che cercano ognuno a proprio modo il giusto approccio a un periodo di cambiamenti, vuoti che si cerca di colmare e sensi di colpa che si spera di placare, personaggi come Zoe costretti a crescere troppo in fretta che nascondono il dolore e usano la propria resilienza per riuscire ad affrontare i momenti bui, pur essendo consapevole delle conseguenze dell’assenza di un affetto in famiglia e tra fratelli che alle volte si dà per scontato. E poi c’è Evan Hansen, con il suo disagio interiore, il desiderio di aiutare gli altri senza nemmeno essere in grado di aiutare se stesso, e un bisogno d’amore che in più occasioni offusca la necessità di imparare ad ammettere i propri limiti e accettarsi. Presenze tratteggiate dagli autori e dagli interpreti con delicatezza e comprensione, senza mai giudicare nemmeno quando le scelte compiute sono profondamente sbagliate. Non c’è, infatti, un approccio edulcorato agli eventi portati in scena e, pur non dando troppo spazio alle conseguenze, si sottolinea in più momenti come sia impossibile giustificare certi errori, anche se ne comprendono le motivazioni alla base.
Il film, come il musical, non è perfetto e non cerca nemmeno di esserlo, ma ha la grande forza di ribadire a gran voce che c’è sempre spazio per la speranza e, anche nei momenti di maggiore sconforto, c’è chi è in grado di aiutare a superare i passaggi più bui della propria esistenza e trovare il proprio spazio nel mondo. Un messaggio, quello di Caro Evan Hansen di cui c’è sempre più bisogno e che va trasmesso, ascoltato e sostenuto per provare a dare vita a un cambiamento necessario nel modo in cui ci relazionamo tra esseri umani.