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Am I OK? – Recensione – Sundance 2022

Dakota Johnson, dopo Cha Cha Real Smooth, offre al Sundance 2022 un’altra interpretazione di ottimo livello con Am I OK?, il film diretto da Stephanie Allynne e Tig Notaro.
L’attrice ha la parte di Lucy, una trentaduenne che ha un grande talento come artista ma trascorre le sue giornate lavorando senza entusiasmo come receptionist in una spa. La sua amica Jane (Sonoya Mizuno) sembra invece avere le idee chiare riguardanti ciò che vuole nella vita e nel suo futuro c’è una promozione che la porterà dall’altra parte dell’Oceano, a Londra, programmando così il suo trasferimento nel Regno Unito insieme al fidanzato Danny (Jermaine Fowler).
La prospettiva di dover fare i conti con l’assenza dell’amica porta Lucy a riflettere sulla propria vita, ammettendo per la prima volta a se stessa, e agli altri, di essere attratta dalle donne, cercando così il coraggio di avvicinarsi alla collega Brittany (Kiersey Clemons).

La sceneggiatura di Lauren Pomerantz compie un buon lavoro nel mostrare come si modificano gli equilibri esistenti da anni quando si inizia a mettere in dubbio ciò che si riteneva un punto fisso nella propria vita. Dakota Johnson sa trasmettere con bravura le incertezze e il senso di vulnerabilità di Lucy dopo aver avuto il coraggio di ammettere la propria omosessualità, ponendo fine così ai continui tentativi della sua amica di farle compiere dei passi in avanti nelle sue relazioni. La trentenne, complicata e sensibile, diventa una presenza realistica e con cui è facie provare empatia grazie agli sguardi e alla presenza scenica della sua interprete che possiede il mix giusto di fascino e innocenza. La scena in cui Lucy dà spazio alla sua attrazione per Brittany e l’insicurezza che contraddistingue le giornate successive sono delineate in modo intelligente per non far sembrare mai la protagonista ingenua e immatura, ma semplicemente un po’ “persa” in una realtà che cerca di conoscere. La distanza che si forma con la pragmatica Jane, portata sullo schermo senza particolari sbavature da Sonoya Mizuno, riassume con una certa efficacia quello che spesso accade quando un’amicizia di lunga data si scontra con gli inevitabili cambiamenti che avvengono da adulti e Am i OK? dà spazio all’incertezza che si forma quando tutto è nuovo, dalle risposte da dare ai messaggi alle incomprensioni che possono dividere per sempre o far allontanare.

Il film sceglie un approccio lineare alla narrazione, accompagnata da una convincente colonna sonora, e compie forse l’errore di non osare mai troppo, proponendo così un racconto semplice e a tratti emozionante che non sorprende, pur suscitando affetto per le protagoniste e un po’ di nostalgia per quei periodi della vita contraddistinti da un futuro ancora tutto da decidere e contraddistinto da tante strade aperte da percorrere.

Navalny – Recensione – Sundance 2022

Nei giorni in cui il nome di Alexei Navalny è tornato tra le pagine di cronaca, dopo le accuse delle autorità russe di essere un terrorista, al Sundance 2022 è stato presentato il documentario dedicato all’avversario di Vladimir Putin, progetto (con merito) premiato con numerosi riconoscimenti in questa edizione del festival.

Il regista Daniel Roher ha avuto modo di intervistare e seguire l’avvocato e politico mentre si trovava in Germania dove, nel 2020, stava ristabilendosi dopo un tentato omicidio compiuto avvelenandolo.
Dopo essere uscito dall’ospedale, Navalny ha collaborato con il giornalista e hacker Christo Grozev, che fa parte del gruppo chiamato Bellingcat, per provare a fare chiarezza su quanto gli è accaduto. Le indagini compiute hanno così portato alla scoperta dell’identità di alcuni uomini che sembravano aver seguito Alexei fino a Tomsk. Uno dei momenti più inaspettati, ed efficaci, del documentario è proprio il momento in cui Navalny si finge un funzionario del governo e chiama i possibili colpevoli fingendo di voler capire perché l’oppositore non sia morto. Uno degli uomini che ha compiuto il viaggio seguendolo in Siberia, Konstantin Kudryavstev, inaspettatamente ammette di aver agito come pianificato, anche se il risultato non è stato quello sperato.
L’attentato è inoltre mostrato grazie al drammatico video girato a bordo dell’aereo dove si trovava il politico quando ha iniziato a fare i conti con i terrificanti dolori fisici, come dimostrano le strazianti urla di Navalny. Sullo schermo spazio poi alla corsa in ospedale, alla lotta della moglie Yulia per provare a vedere il marito e assicurarsi che stia ricevendo le cure necessarie, temendo che la sua permanenza in un ospedale russo potesse rivelarsi mortale, l’intervento di Angela Merkel, il viaggio in Germania e le analisi che hanno portato alla conferma della sostanza, Novichok, usata per provare a far uscire di scena l’avversario di Putin.

Navalny, oltre agli elementi che farebbero la gioia di qualsiasi sceneggiatore di thriller politici, è però molto di più. Fin dall’inizio, infatti, sullo schermo si dà spazio alla personalità di Alexei che ha una visione molto chiara della pericolosità della sua situazione e, nonostante tutto, non perde la sua ironia e la sua determinazione. Nei primi minuti, posto di fronte a una domanda “scomoda”, Navalny si rende conto che la risposta potrebbe essere usata nel caso in cui venisse ucciso. L’attivista, che è un avvocato e ha iniziato la carriera politica per contrastare corruzione e criminalità, sa il valore e l’importanza delle sue parole e delle sue azioni, regalando così in più momenti delle riflessioni importanti sull’importanza delle scelte degli individui sulla società e sul far emergere la verità e lottare per la giustizia.

Roher permette di avvicinarsi alla figura del protagonista della sua opera in modo intelligente ed esaustivo, ripercorrendone la campagna, i comizi in cui è particolarmente attento a far esprimere ai presenti le critiche nei confronti di Putin senza dichiarare frasi che possono incriminarlo, la totale mancanza di rispetto da parte del suo avversario che decide di non pronunciarne mai il nome in segno di disprezzo e superiorità, l’attacco subito nell’aprile 2017 quando gli è stato spruzzato un liquido tossico in viso causandogli dei danni alla vista nell’occhio destro, i raid al suo ufficio e al suo team, l’esclusione da ogni articolo nei quotidiani e servizio televisivo, l’impossibilità di organizzare eventi e il continuo stato di tensione e pericolo che contraddistingue la sua vita quotidiana. Le situazioni proposte spingono inevitabilmente a far riflettere su quanta forza d’animo e resilienza sostengano l’attivista nella sua lotta contro il regime e il documentario permette inoltre di scoprire la prospettiva dei membri della sua famiglia, dalla moglie Yulia ai figli, tra cui la diciannovenne Dasha che studia negli Stati Uniti e sembra aver accettato con grande maturità le conseguenze della lotta del padre, nonostante l’ansia e la malinconia che emergono in alcune delle sue dichiarazioni.

L’atto finale del documentario segue Alexei Navalny dopo la decisione di tornare in patria, mostrando passo dopo passo il viaggio con destinazione Mosca mentre all’aeroporto i suoi sostenitori affrontano le autorità venendo arrestati, respinti e silenziati. La regia di Roher, con un sapiente montaggio che spazia dallo sguardo del protagonista in volo al suo team che assiste agli eventi seguendoli grazie ai telegiornali, non dà spazio alla speranza. L’arresto dell’avversario di Putin, nonostante la razionalità che porterebbe a confidare nella giustizia, è inevitabile mentre Alexei e la moglie cercano di rilassarsi guardando Rick and Morty o scherzano con gli altri viaggiatori chiedendo scusa per i problemi causati.

Il lavoro compiuto dal filmmaker risulta importante e necessario grazie alla sua capacità di equilibrare il lato umano, con le dimostrazioni di affetto nei confronti della moglie persino in tribunale, con quello politico e sociale e impone all’attenzione del pubblico internazionale la figura di un uomo disposto a lottare contro un regime autoritario condividendo un messaggio universale che merita di essere ascoltato, apprezzato e condiviso.