Tag Archives: recensioni

Dual – Recensione – Sundance 2022

Karen Gillan, la star di Guardiani della Galassia e Doctor Who, si mette alla prova con un doppio ruolo in Dual, film presentato al Sundance Film Festival 2022.
Il lungometraggio diretto da Riley Stearns propone un affascinante insieme di riflessioni morali e pessimismo, faticando però a delineare la sua protagonista.

Al centro della trama c’è la giovane Sarah che sembra avere un’esistenza monotona e priva di momenti significativi, discutendo con la madre e mantenendo una relazione a distanza con il fidanzato Peter (Beulah Koale).
Quando la ragazza scopre di avere una malattia in stato terminale si ritrova di fronte a una possibilità concessa solo a chi sta per perdere la vita: creare un clone di se stessa per alleviare il dolore delle persone amate, in modo che prenda il suo posto.
La nuova versione di Sarah, tuttavia, sembra una versione migliorata dell’originale e riesce a ottenere l’approvazione di Peter e della madre di Sarah (Maija Paunio). Dopo aver scoperto di essere guarita, Sarah è costretta a dover prepararsi a un duello mortale perché solo una di loro potrà restare in vita. Mentre tutte le persone amate le voltano le spalle facendo il tifo per la “copia”, Sarah assume un allenatore (Aaron Paul) per aiutarla a prepararsi al combattimento.

Karen Gillan è molto brava nel gestire il doppio ruolo che le è stato affidato e rende le interazioni tra le due Sarah particolarmente significative e, in certi momenti, persino strazianti mentre si avvicina la resa dei conti finale. L’attrice non ha però a disposizione una sceneggiatura in grado di seguire il cambiamento della protagonista in modo realistico e con le giuste sfumature, lasciando fin troppo spazio alla sua apatia e non chiarendo le motivazioni alla base della totale mancanza di empatia nei suoi confronti da parte del fidanzato e della madre.


La sequenza iniziale di Dual, in cui si assiste a uno dei duelli mortali, sembrava gettare le basi per una rappresentazione ben più cupa e ricca di sfumature delle questioni etiche e morali che emergono quando ci si ritrova a dover combattere contro “se stessi” pur di rimanere in vita. Il film di Riley Stearns fatica nella prima parte della narrazione e sembra trovare forza dal punto di vista dell’approfondimento psicologico dei personaggi dal momento in cui entra in scena l’allenatore affidato ad Aaron Paul. La narrazione, tuttavia, non riesce a sviluppare in modo coerente i vari tasselli che compongono la storia e il finale appare fin troppo affrettato e sostenuto in modo molto debole dagli eventi precedenti.
A livello delle tematiche portate sullo schermo Dual risulta un film molto ambizioso e, nonostante un risultato non all’altezza delle aspettative, comunque stimolante e in grado di mantenere alta l’attenzione.
L’atmosfera creata grazie alla fotografia di Michael Ragen, che crea una realtà quasi sospesa che appare in più momenti quasi offuscata e avvolta da una nebbia, e alla musica composta da Emma Ruth Rundle è inoltre molto suggestiva ed efficace nel trasportare gli spettatori in una società che ha moltissimi punti in comune con la realtà, tra l’attenzione per la violenza e i drammi e l’incapacità di sostenere i cittadini nei momenti difficili.

Dual, tra cupa ironia e momenti sopra le righe, riesce persino a strappare qualche risata, ma dispiace veder sprecato il reale potenziale della storia e la bravura degli attori con una narrazione che, in più momenti, sembra non avere le idee chiare sulla direzione da prendere.

Matt Haig – La Biblioteca di Mezzanotte

Matt Haig propone con La biblioteca di mezzanotte un romanzo che riesce a rivolgersi con sensibilità ed efficacia a chiunque si trovi in un momento difficile o, semplicemente, si sia chiesto almeno una volta come sarebbe cambiata la propria vita se si fossero compiute delle scelte diverse.
La protagonista Nora Seed ha perso ogni speranza: il suo gatto è morto, è stata appena licenziata, il fratello non le rivolge più la parola, i suoi sogni di diventare una campionessa di nuoto o una cantante di successo sono da tempo andati in fumo, e la sua vita non sembra avere più uno scopo. Nora è assolutamente convinta di voler morire e quando tenta di suicidarsi si ritrova inaspettatamente in una biblioteca. Tra la vita e la morte esiste infatti un luogo dove si riceve la possibilità di “provare” delle vite diverse, rivalutando così l’importanza dei rimpianti avuti nella propria esistenza.

L’esperienza personale di Haig con la depressione e i problemi mentali aiuta a delineare un racconto significativo che sfrutta la teoria dell’esistenza degli universi paralleli per celebrare ciò che rende una vita degna di essere vissuta e le infinite possibilità che ognuno di noi ha in ogni momento.
Lo scrittore costruisce una storia semplice che però riesce a rivolgersi a tutti senza eccedere nella retorica, partendo dalla figura di una donna che sembra aver perso tutte le occasioni per essere felice. Attraverso l’espediente della Biblioteca di Mezzanotte, una specie di limbo che assume caratteristiche diverse in base alla persona che ci si ritrova, si esplorano tutte le direzioni che la vita di Nora avrebbe potuto prendere, scoprendo così che non esiste una vita perfetta, ma ogni possibile decisione porta a diverse combinazooni di problemi e insoddisfazione.


Il romanzo di Haig è costruito in modo scorrevole e, nonostante il rischio di risultare ripetitivo e ridondante, riesce invece a mantenere alta l’attenzione del lettore che segue Nora comprendendone le debolezze e la sensibilità, elementi che la portano ad affrontare il rapporto con gli altri e chi fa parte della sua vita con fin troppa attenzione per i sentimenti e le opinioni degli altri.
La biblioteca di mezzanotte, pur rimanendo sulla superficie di certi aspetti della storia e costruendo le situazioni per dimostrare la teoria alla base del progetto, è un’opera piacevole dal messaggio importante, adatta per chi cerca una lettura che affronta le tematiche del lutto, dei rimpianti, dei sogni mai realizzati e delle ambizioni non seguite con semplicità, un pizzico di magia e addentrandosi in atmosfere molto vicine a La vita meravigliosa, un classico che ha lasciato il segno in tante generazioni, destino che il libro di Haig sembra in grado di replicare senza troppa fatica.

In case of emergency, la recensione – Heartland 2020

La regista Carolyn Jones ha realizzato con il documentario In Case of Emergency un ritratto necessario ed emozionante di chi ha scelto il mestiere di infermiere negli Stati Uniti, seguendo alti e bassi quotidiani e arrivando fino alla prima fase della pandemia che ha avuto un impatto innegabile nel lavoro di professionisti che mettono a rischio la propria vita durante l’emergenza sanitaria.
Il progetto, realizzato nel corso di due anni, non si concentra su un’unica struttura sanitaria ma offre un ritratto ricco di sfumature della quotidianità che contraddistingue il pronto soccorso, dimostrando inoltre come quello che accade tra le mura dell’ospedale rifletta la società contemporanea americana alle prese con violenza, dipendenze, solitudine e povertà, elementi che hanno un peso importante nello stato di salute degli esseri umani.


Gli infermieri intervistati, davanti alla telecamera, parlano apertamente del modo in cui affrontano il lavoro e le conseguenze emotive delle situazioni che devono gestire ogni giorno, mentre la telecamera immortala la bravura con cui affrontano anziani che non hanno nessuno che si prenda cura di loro, madri in ansia, giovani che devono rilassarsi per affrontare esami complicati, persone che cercano di disintossicarsi, tentativi di suicidio e pazienti che bisogna visitare per capire chi ha bisogno di cure immediate. Le testimonianze dei professionisti emozionano e portano così alla luce il lato più umano e vulnerabile di chi ha scelto un lavoro che lascia il segno.

In Case of Emergency regala un ritratto davvero memorabile del mondo del pronto soccorso dove la rapidità di intervento e il talento nel campo della medicina determinano il destino delle persone e, al tempo stesso, sottolinea tutti i problemi del sistema sanitario americano attraverso i racconti di chi è sempre impegnato in prima linea.
Il documentario si apre e chiude con la testimonianza di Cathlyn Robinson, che lavora al St. Joseph’s University Medical Centerson a Paterson, New Jersey, dopo l’inizio dell’emergenza causata dal COVID-19 e immediatamente si può notare la differenza di atmosfera e il senso di impotenza che contraddistingue il periodo che gli infermieri stanno affrontando in tutto il mondo. Nel volto e nei gesti di Cathlyn è impossibile non notare la differenza rispetto alle scene girate in precedenza e le sue parole, misurate e sensibili, affiancano quelle dei suoi colleghi che hanno parlato delle perdite subite negli ultimi mesi e dell’ansia sempre presente in una situazione così incerta e pericolosa.


Carolyn Jones, con il suo documentario, sa mettere in primo piano il coraggio, il determinazione, l’empatia e l’intuizione che rendono gli infermieri un tassello essenziale della società e i loro racconti permettono inoltre di capirne i problemi che andrebbero affrontati e risolti per poter sperare in un futuro migliore, pur essendo consapevoli che il Coronavirus ha peggiorato ulteriormente un sistema che stava già pagando duramente il prezzo di scelte politiche che hanno ben poco a che fare con la salute dei cittadini.

In case of emergency mostra i lati positivi e quelli negativi di una professione che richiede vocazione e dedizione, obbligando chi la pratica a fare spesso i conti con delle conseguenze importanti sulla propria salute mentale e sull’equilibrio esistente nella propria vita, diventando una visione obbligatoria per capire l’importanza di una categoria che merita di essere celebrata ogni giorno, non solo durante un’emergenza.