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Fakes: la recensione della serie Netflix

Nel vasto catalogo di Netflix è passato quasi inosservato il debutto di una divertente serie canadese intitolata Fakes, una versione teen di Good Girls che tiene alta l’attenzione nonostante delle interpretazioni non eccelse.

Al centro della trama ci sono due studentesse apparentemente molto diverse tra loro: Zoe Christensen (Emilija Baranac), cresciuta troppo in fretta a causa di un padre alcolista che ha indurito il suo carattere e l’ha resa più determinata nel suo tentativo di ottenere un futuro migliore, e la popolare Rebecca Li (Jennifer Tong), che ha una famiglia ricca e dalle dinamiche complesse, ambiente che le fa vivere l’adolescenza con una pressione forse eccessiva a causa delle aspettative di una madre assente e un padre distante. Quando la narrazione prende il via le due protagoniste sono state appena arrestate e gli episodi ripercorrono, mostrando anche le due diverse prospettive su quanto accaduto, gli eventi che le hanno rese delle criminali impegnate a stampare documenti falsi. A complicare ancora più la situazione è la presenza di Tryst (Richard Harmon), un giovane che investe nella loro “attività”, e una serie di contrattempi e ostacoli che potrebbero mettere a rischio il desiderio di entrambe di ottenere una chance per realizzare i propri sogni finito il liceo.

Un ritmo incalzante, ben accompagnato dalla colonna sonora e da una fotografia che spazia dai colori accesi alle atmosfere più dark, trascina lo spettatore nel mondo di Zoe e Becca grazie alla scelta narrativa di proporne i due punti di vista, intrecciandoli, separandoli e conducendo gli spettatori a un epilogo che lascia la speranza di vedere una seconda stagione.
Nonostante l’apparente leggerezza, Fakes affronta anche tematiche molto serie con grande onestà, come accade nel duro confronto in famiglia quando Zoe vede il rischio che il fratello ripeta gli errori del padre o nei momenti in cui Becca fa emergere il proprio lato più vulnerabile a causa della freddezza della madre, riuscendo inoltre a non spingersi mai troppo oltre le righe.


L’enigmatico Tryst è ben interpretato da Harmon, conosciuto dal pubblico televisivo per The 100, e Baranac e Tong hanno saputo trovare il giusto feeling per proporre due coetanee che si incontrano, scontrano, litigano e si sostengono a vicenda. Le loro interazioni sostengono la serie creata da David Turko con grande freschezza, tratteggiando un mondo adolescenziale in cui feste, incomprensioni tra fratelli e sorelle, amori e lezioni per casa scandiscono la loro quotidianità.
Tra serietà e follia, tra sguardi rivolti dritti in camera e momenti di introspezione, sono le scene più inaspettate a risultare più esilaranti e Matreya Scarrwener, con la sua amante del teatro Sally, regala alcune delle risate più immediate.

Fakes, nonostante la sua esteriorità superficiale, propone un interessante ritratto di una generazione in cui nessuno si propone agli altri come è veramente e la verità e le bugie trovano spazio nella loro vita in egual misura, lasciando sempre in dubbio se esista una verità o se ogni ricostruzione dei fatti sia falsa come le patenti stampate in casa.

Dreams of Alice, recensione – Canneseries 2021

La serie russa Dreams of Alice regala con il suo primo episodio, presentato al Canneseries 2021, un’introduzione davvero convincente, e a tratti disturbante, a un mondo in cui realtà e finzione si confondono e scontrano.
Gli elementi che compongono la struttura narrativa del progetto sono già stati utilizzati in passato, tuttavia, il risultato finale è particolarmente originale e intrigante.

Gli eventi sono ambientati in una cittadina nell’area nord della Russia, vicino a una base militare segreta, e in cui sembra aleggiare qualcosa di strano e misterioso e che sembra rendere impossibile abbandonare. La giovane Alice affronta terrificanti visioni legate al suo futuro e si ritrova in difficoltà a casa e a scuola, dove viene emarginata e bullizzata. La teenager sogna di andarsene con la sua migliore amica, ma il suo desiderio sembra quasi impossibile da realizzare.

L’attrice Alina Gvasaliya è molto brava nell’interpretare la protagonista e i suoi tanti problemi, emotivi e sociali, ma a lasciare il segno è l’atmosfera di grande impatto creato dalla storia firmata da Anastasiya Volkova con il contributo della fotografia di Ilya Ovsenev.
A dare ritmo e a sostenere la complessa e intricata struttura di Dreams of Alice è inoltre il montaggio firmato da Alexandra Koroleva che confonde e crea quel senso di spaesamento e mistero necessario a tenere alta l’attenzione sulla storia.

Il pilot convince e dimostra un ottimo potenziale, ma i tanti elementi che compongono la struttura e l’elemento sovrannaturale legato alla leggenda di quanto accaduto secoli prima alle donne accusate di stregoneria potrebbero causare qualche problema se non gestiti nel migliore dei modi. L’esordio della serie, tuttavia, è davvero interessante e promettente.

Kljun (Awake), recensione – Canneseries 2021

Kljun (Awake), presentata in anteprima a Canneseries 2021, prova a fondere elementi sovrannaturali ai classici schemi delle storie di detective, proponendo un mix di indagini e misteri inspiegabili che potrebbe risultare vincente se gestito nel migliore dei modi dagli autori.

L’attrice Ivana Vukovic interpreta Sonja Kljun, una giovane e ambiziosa detective che cerca di dimostrare che un caso indicato come suicidio nasconda qualcosa di più oscuro e misterioso. La donna deve fare i conti con lo scetticismo dei suoi superiori e più di un ostacolo, mentre la figlia inizia a fare dei sogni insoliti che sembrano in grado di predire quello che accadrà in realtà.

L’atmosfera fredda e rarefatta che contraddistingue la serie, enfatizzata dalla fotografia firmata da Dušan Grubin, contribuisce a dare una sfumatura originale agli eventi portati sugli schermi. I titoli di testa, davvero suggestivi e a tratti inquietanti, introducono in modo brillante l’intreccio particolare creato dalla sceneggiatura firmata da Ljubica Lukovic e Matija Dragojević, forse in più passaggi fin troppo complicata.
La protagonista è ben interpretata da Vuković che delinea un personaggio femminile spigoloso ed enigmatico che, in più di un momento, ricorda quasi la protagonista di Omicidio a Easttown per la sua capacità di essere se stessa e scontrarsi con un mondo prevalentemente maschile e poco accogliente.
Il rapporto con la figlia e con i suoi colleghi saranno due degli elementi narrativi di cui sarà interessante vedere l’evoluzione.


I primi due episodi possiedono comunque un buon potenziale che porta a pensare che Kljun si inserirebbe senza troppe difficoltà nelle proposte internazionali presenti nel catalogo di piattaforme di streaming come Netflix, dove progetti analoghi hanno già ottenuto un buon successo.

Mister 8, recensione – Canneseries 2021

Arriva dalla Finlandia la black comedy Mister 8 che regala un approccio inaspettato e a tratti esilarante alle relazioni sentimentali.
La serie, presentata a Canneseries 2021, propone una protagonista femminile, Maria (Krista Kosonen), determinata e sicura di se stessa, in grado di gestire in veste di CEO l’azienda di famiglia e ben sette compagni, uno per ogni giorno della settimana. La situazione si complica però dopo l’incontro con Juho (Pekka Strong), che deve trovare un modo per farsi strada nel cuore e nell’affollata quotidianità della donna.

La serie scritta da Vesa Virtanen, Teemu Nikki e Antero Joniken regala una storia ricca di sorprese sovvertendo ogni regola delle comedy romantiche. Maria, a differenza di tantissime protagoniste approdate prima di lei sul grande e piccolo schermo, non va alla ricerca dell’anima gemella e sceglie come partner uomini totalmente diversi tra loro: dall’appassionato di fitness all’intellettuale, dal solitario che vive nella natura al padre di famiglia… L’ottimo feeling creato da Krista Kosonen e Pekka Strang sostiene questa bizzarra rete di relazioni sentimentali e le interazioni tra i vari personaggi maschili, totalmente consapevoli delle dinamiche di cui sono protagonisti, regalando più di un momento esilarante.

A sostenere una sceneggiatura in più momenti fragile e fin troppo irrealistica, è però Krista Kosonen che sa trasformarsi e adattarsi facendo emergere di volta in volta un lato diverso della personalità di Maria, personaggio femminile che decide volontariamente di non sacrificare nessun aspetto di se stessa per il proprio partner e non esita a lasciarsi andare per apprezzare al massimo la sua dimensione privata.

Le prime due puntate intrigano lo spettatore e lasciano la voglia di scoprire in che modo si evolverà questa equazione sentimentale con fin troppi fattori, suscitando la curiosità di scoprire se Maria scivolerà nelle convenzioni sociali o troverà il modo di fare spazio anche per Juho.

Limbo… Hasta que lo decida, recensione – Canneseries 2021

Il duo composto da Mariano Cohn e Gastón Duprat, dopo l’esilarante e tagliente Competencia Oficial presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, approdano sul piccolo schermo con Limbo… Hasta que lo decida, serie prossimamente in arrivo su Star+ presentata a Canneseries 2021.
I primi episodi del progetto anticipano una storia che sembra fondere l’atmosfera di Succession a quella di Elite, sostenendosi grazie a un’interpretazione davvero convincente della protagonista Clara Lago.

Al centro della trama c’è la giovane miliardaria Sofia, con una vita lussuosa e senza alcuna preoccupazione. Quando il padre muore, la giovane torna a Buenos Aires dove si trova alle prese con i membri della propria famiglia, le loro aspettative, e il futuro degli affari del padre, di cui inizia a scoprire un lato inaspettato. Sofia, mentre indaga sul proprio passato, inizia a provare il desiderio di dimostrare il proprio valore e userà dei metodi inaspettati per trasformare se stessa e il suo futuro.

La voce narrante di Sofia trasporta gli spettatori nel suo mondo fatto di privilegi e conflitti e Sofia Castello è molto brava nell’interpretare una giovane abituata a un’esistenza sempre portata all’estremo e a conflitti che fanno emergere il suo lato più ribelle e irriverente, soprattutto quando si trova a scontrarsi con i fratelli. Le prime puntate gettano le basi per un’evoluzione che potrebbe risultare molto interessante e ricca di sorprese, oltre a introdurre alcuni indizi legati a misteri legati alla famiglia e al passato del padre.

Il progetto creato da Cohn e Duprat sembra possedere un ottimo potenziale per rivolgersi al pubblico internazionale e la fotografia firmata da Daniel Ortega rende glamour e visivamente d’impatto le scene nei locali, negli spazi della residenza di famiglia e nei negozi più esclusivi, pur sottolineando cromaticamente le ombre che contraddistinguono la vita della protagonista. A segnare il destino del progetto televisivo sembra prevalentemente l’eventuale capacità di rendere i personaggi secondari tridimensionali dopo un avvio della narrazione in cui scivolano in più momenti negli stereotipi degli uomini di affari freddi, snob e incapaci di un reale coinvolgimento emotivo.

Limbo… Hasta que lo decida riesce comunque a convincere nonostante non proponga nulla di realmente originale o non visto sugli schermi, lasciando in sospeso il giudizio in attesa di scoprire in che modo si evolverà la storia della dark lady Sofia.

Canneseries 2020 – Short Form Competition

Canneseries 2020 ha presentato anche l’interessante sezione Short Form Competition, dedicata ai progetti composti da episodi di breve durata, ecco le impressioni sui titoli proposti in questa edizione dell’evento dedicato alle serie televisive.

Amours d’occasion, serie canadese diretta da Eva Kabuya. Montreal viene colpita da un’ondata di calore che fa scivolare la città in uno stato di torpore, portando gli abitanti del quartiere di Saint-Henri a fare i conti con eventi inspiegabili. I primi due episodi propongono altrettante storie, mostrando i protagonisti alle prese con i fantasmi del passato. Il progetto ha alcuni elementi interessanti alternati ad una gestione non sempre brillante del cast. La breve durata rende davvero complicato prevedere se il potenziale verrà sfruttato nel migliore dei modi.


Broder, progetto argentino diretto da Mauro Pérez Quinteros.
Il primo episodio presentato a Canneseries 2020 introduce bene l’atmosfera e il mondo in cui vivono i due protagonisti tra musica, artisti di strada, povertà e crimini. Al centro della trama ci sono Mirko e Roma, fratello e sorella che si presentano a casa della nonna Patria, nella periferia di Buenos Aires, per trasferirsi da lei, scoprendo che vivono accanto allo studio di registrazione El Tri, dove creano musica artisti come Núcleo AKA Tintasucia, Klan, Cazzu, Rebeca Flores, MPDhela.
I primi dieci minuti non permettono di scoprire molto dei personaggi, tuttavia la relazione dei giovani con l’anziana sembra in grado di regalare più di un elemento interessante dal punto di vista narrativo e la colonna sonora sembra davvero efficace.



Claire and the Elderly (Claire et les vieux). L’adorabile serie canadese diretta da Charles Grenier racconta quello che accade quando Claire, che ha solo 9 anni, viene affidata alla nonna dopo che la madre viene ricoverata in ospedale dopo un’overdose. La bambina si ritroverà così in un ambiente molto particolare rappresentato dalla residenza per anziani in cui alloggia, temporaneamente. La naturalezza che caratterizza l’interpretazione della giovane protagonista e l’atmosfera all’insegna della sensibilità e del calore umano rendono la visione della prima puntata davvero piacevole e invogliano a scoprire in che modo si evolverà la storia di Claire.


Christmas on Blood Mountain diretta da Lars Kristian Flemmen. La serie norvegese racconta quello che accade quando l’investigatore privato Svein Soot e Nana Soot (un grande esperto nel rintracciare i doni di Natale nel servizio postale danese) vengono ingaggiati per investigare su un cold case: la scomparsa della diciassettenne Sofia Juul, unica erede dell’impero economico, che sfrutta il Natale, Blodnissene AS. I due protagonisti avranno poco tempo a disposizione, solo 24 ore, per risolvere il mistero.
La prima puntata della serie è molto coinvolgente e scorrevole, introducendo un whodunit originale per ambientazione e caratteristiche dei personaggi coinvolti.


Cryptid. La serie “horror” prodotta in Svezia e diretta da David Berron racconta ciò che accade allo studente Niklas dopo che uno dei suoi compagni di scuola muore davanti ai suoi occhi, “esplodendo”. La vita del teenager è inoltre complicata dal ritorno inaspettato della sorella, facendolo scivolare nelle paure e nei traumi.
Il primo episodio presentato a Canneseries 2020, a causa della sua breve durata (10 minuti), rende davvero complicato capire in che direzione si muoverà il racconto e se i protagonisti saranno in grado di sostenere i tanti passaggi surreali della trama e i momenti più terrificanti del racconto.


Deadhouse Dark è un progetto australiano composto da varie storie che propongono racconti terrificanti ispirati a trend moderni come dark web, influencers e tentativi di ottenere facilmente la fama. A Canneseries sono state proposte la prima e la quinta puntata anticipando un po’ dell’originalità e dell’approccio personale dei filmmaker coinvolti.


First Person è il progetto canadese che adatta i contenuti proposti nell’omonima rubrica pubblicata su Globe and Mail che dà voce alle esperienze e ai racconti dei lettori.
Il quarto episodio girato con un espressivo bianco e nero, in particolare, con un incontro inaspettato riesce a emozionare grazie alle interpretazioni delle due protagoniste: un’anziana che deve fare i conti con una decisione drammatica che ha dovuto prendere e una giovane che ascolta quanto accaduto, dovendo capire in che modo reagire e come aiutare la sconosciuta che si trova di fronte a lei.


The Writers. A Short Stories è un progetto polacco ideato dal regista Mikołaj Lizut che ha invitato alcuni scrittori a ideare, senza alcuna regola da seguire, dei racconti brevi che non dovevano superare quota cinque minuti una volta adattati per lo schermo. I due protagonisti sono Magdalena Cielecka e Maciej Stuhr, alle prese con situazioni, emozioni e problemi davvero di ogni genere. Delle puntate proposte a Canneseries non si può che non apprezzare una surreale storia d’amore mostrata in tutte le sue fasi, dall’inizio e dall’epilogo davvero inaspettati.


Tony arriva dall’Argentina e racconta la storia di Victoria, una giovane che scopre di essere incinta. La protagonista si ritrova così alle prese con le opinioni dei suoi amici riguardanti un possibile aborto e, inaspettatamente, con delle telefonate, messaggi e vari contenuti il cui destinatario è qualcuno chiamato Tony, che non conosce, che era il precedente proprietario del suo telefono.
I primi dieci minuti del progetto possiedono un ottimo ritmo e un intreccio interessante, suscitando la curiosità di scoprire che scelta prenderà la giovane e se troverà il misterioso Tony.


Zero Day, al festival Canneseries 2020, è stato presentato mostrando undici dei sessanta brevi cortometraggi della durata di due minuti che compongono la prima stagione.
Si passa così da quello che accade a una giovane ossessionata dai selfie alla storia di fantasmi ambientata in un campo dove dei ragazzini giocano a basket, passando da un battesimo andato male a un possibile incubo che potrebbe essere reale, dalla vendetta di un mimo dotato di poteri alle conseguenze della scelta di compiere un esame del DNA, senza dimenticare la raccapricciante situazione che affronta una donna che deve ricreare i volti dei morti analizzandone i teschi a racconti con al centro creature terreficanti o ambientate nello spazio, fino ad arrivare a una roomba assassina.
La grande varietà degli approcci al genere e i tanti spunti narrativi rendono la visione di Zero Day piuttosto intrigante e divertente. La breve durata, inoltre, mostra l’approccio unico dei filmmaker coinvolti.

Canneseries 2020 – Top Dog

Top Dog, presentata a Canneseries 2020, è una serie svedese che sfrutta ancora una volta l’idea di una collaborazione tra due persone molto diverse tra loro per risolvere un mistero, in questo caso la scomparsa di un giovane molto ricco.

L’erede di una delle famiglie più benestanti della Svezia, Nikola (Gustav Lindh), riceve ufficialmente le redini dell’attività di famiglia, ma si ritrova alle prese con dei criminali che lo derubano e lo minacciano. Il giovane scompare misteriosamente e a indagare sul caso sono l’avvocato Emily (Josefine Asplund) e l’ex condannato Teddy (Alexej Manvelov).

Le prime due puntate introducono bene le figure dei due protagonisti che, per motivi diversi, hanno entrambi subito delle perdite importanti e sono alla ricerca di una possibilità di redenzione e di una seconda occasione nella vita. La dinamica che si forma tra di loro, tuttavia, non viene costruita in modo impeccabile e suscita qualche dubbio riguardante il modo in cui il racconto riuscirà a gestire le interazioni tra due personalità così differenti. Il cast riesce comunque a sostenere bene lo script, non privo di punti deboli, e il mistero riguardante quanto accaduto all’erede dell’azienda sembra in grado di mantenere alta la curiosità e l’attenzione.

Due episodi non sono abbastanza per capire se Top Dog si svilupperà in modo convincente fino all’epilogo della storia, tuttavia possiede il potenziale per lasciare soddisfatti gli appassionati delle serie di genere crime.

Canneseries 2020 – Red Light

Carice Van Houten, conosciuta dal pubblico internazionale grazie al ruolo di Melisandre in Game of Thrones, torna sul piccolo schermo con un ruolo da protagonista gazie a Red Light, progetto scritto da Esther Gerritsen (Instict) e ambientato nel mondo della prostituzione e dello sfruttamento delle donne.

Evi (Maaike Neuville) è una detective alle prese con crimini terribili e che ogni giorno si lascia alle spalle morti e violenze prima di tornare a casa, dove è una madre e una moglie dal passato complicato. Esther (Halina Reijn) è una cantante lirica che, dopo l’improvvisa morte del padre, scopre che il marito le nasconde molte cose. Sylvia (Carice Van Houten) gestisce infine un bordello nel quartiere a luci rosse di Antwerp vivendo una relazione con il proprietario del locale che da tempo le promette un futuro migliore che non sembra mai realizzarsi. Gli eventi di una notte intrecciano la vita delle tre donne in modo indelebile.

Red Light, serie diretta da Wouter Bouvijn e Anke Blondé, è caratterizzata da un’atmosfera suggestiva che enfatizza gli aspetti drammatici del racconto e le interpretazioni davvero di livello. Dei tre personaggi principali, come prevedibile, è quello affidato a Carice Van Houten che attira l’attenzione e la cattura portando lo spettatore a voler sapere qualcosa in più di questa enigmatica donna che sostiene di non essere vittima, ma subisce dell’evidente violenza emotiva e psicologica. Il sottile confine tra vittima e carnefice è sempre presente e assistere alle lezioni di Sylvia al personale, l’attacco da parte di un cliente e alla reazione del compagno a una notizia che potrebbe cambiare per sempre la loro vita rappresentano due lati della stessa medaglia che mostrano le sfumature di una realtà difficile da rappresentare in modo obiettivo rimanendo alla giusta distanza dalle scelte dei protagonisti e degli eventi.

La sceneggiatura dei primi due episodi delinea in modo interessante anche le altre due figure femminili al centro del racconto, dando spazio anche alla brutale violenza e allo squallore che contraddistingue la vita di chi si mantiene vendendo il proprio corpo.
Nonostante gli episodi non siano privi di passaggi sopra le righe o non del tutto motivati dal punto di vista narrativo, l’esordio di Red Light mantiene alta l’attenzione e colpisce in modo efficace dal punto di vista emotivo, lasciando la curiosità di scoprire come proseguirà la storia delle tre donne.

Canneseries 2020 – Partisan

Una comunità apparentemente all’insegna dell’agricoltura biologica e dell’accoglienza nei confronti dei giovani in difficoltà potrebbe nascondere attività criminali e segreti oscuri, e la serie Partisan, presentata in concorso a Canneseries 2020, sviluppa questi spunti narrativi nelle prime due puntate costruendo bene l’atmosfera, pur suscitando qualche perplessità dal punto di vista della costruzione del racconto.
La storia si svolge nell’apparentemente idilliaca area di Jordnära, una comunità privata che ha un fiorente commercio di prodotti agricoli. Johnny (Fares Fares) arriva con il compito di essere uno dei nuovi camionisti, ricevendo inoltre il compito di accompagnare in questo mondo Nicole (Sofia Karemyr) e Maria (Ulvali Rurling), due giovani dalla vita complicata e che sperano di trovare un po’ di pace ed equilibrio in questo nuovo gruppo. Johnny, tuttavia, potrebbe avere dei segreti che non ha ancora rivelato e dei motivi che verranno svelati puntata dopo puntata.

Partisan costruisce bene il contrasto tra l’immagine apparentemente perfetta che circonda la comunità e alcuni dettagli disturbanti che mettono in dubbio i veri scopi di questo gruppo quasi in stile setta.
Le prime due puntate sfruttano con intelligenza le differenze tra Nicole e Maria, che reagiscono in modo quasi opposto all’arrivo a Jordnära, e all’atteggiamento di Johnny, fin dalle prime scene evidentemente impegnato a nascondere qualcosa.
Le interpretazioni dell’intero cast sono convincenti, tuttavia elementi come le attività fisiche tra i giovani o i comportamenti di alcuni personaggi secondari non vengono spiegati in modo adeguato, sembrando così dei semplici stereotipi legati alle organizzazioni in stile setta.

I due episodi gettano comunque delle basi interessanti per lo sviluppo del racconto, come le dinamiche che si creano rapidamente grazie all’arrivo di una teenager dalla personalità ribelle e poco interessata a lasciarsi manipolare, e ai primi dettagli che approfondiscono la vita di Johnny interpretato con convizione da Fares, recentemente apparso anche in show di successo come Westworld e Tyrant.
La serie creata da Amir Chamdin, in base alle prime due puntate, possiede del potenziale interessante che potrebbe dare vita a un progetto in grado di lasciare il segno, ma il rischio che gli autori non siano riusciti a mantenere le redini dei tanti elementi a disposizione è concreto e bisognerà attendere per capire se le interpretazioni dei protagonisti saranno sostenute da uno script in grado di valorizzarle.

Canneseries 2020 – Man in Room 301

Arriva dalla Finlandia la serie Man in Room 301 che si inserisce, purtroppo senza molta originalità, nel filone delle serie drammatiche britanniche che, attraverso un evento drammatico, affrontano i temi della giustizia e delle reazioni emotive agli errori compiuti e alle scelte prese nella propria vita.
Il racconto prende il via nell’estate 2007 quando la famiglia Kurtti stra trascorrendo le proprie vacanze in mezzo alla natura. Il piccolo Tommi, che ha solo 2 anni, viene però ucciso da un colpo di arma da fuoco e il dodicenne Elias, che vive vicino ai protagonisti, viene accusato della sua morte. Dodici anni dopo, nell’estate 2019, i Kurtti pensano di rivedere Elias in Grecia, nella stanza 301 della struttura alberghiera dove alloggiano. La tensione aumenta quindi in modo esponenziale, facendo emergere traumi e rabbia repressa troppo a lungo.

La serie Man in Room 301, creata dall’attrice Kate Ashfield e diretta da Mikko Kuparinen, fatica nelle prime due puntate a costruire una struttura narrativa in grado di sostenere gli aspetti emotivi del racconto: i personaggi sono delineati troppo a grandi linee e i salti temporali tra passato e presente rendono complicato, dopo sole 2 puntate, capire le motivazioni dei protagonisti o le reazioni al dramma avvenuto.
La frammentazione del racconto non aiuta a lasciarsi coinvolgere e, nonostante la serie si basi su uno spunto interessante, il confronto con show di genere analogo, in particolare prodotti nel Regno Unito, non aiuta ad apprezzare il lavoro compiuto dal cast e dalla troupe.

Gli attori offrono una buona interpretazione, tuttavia il mistero al centro dello show non intriga abbastanza da suscitare interesse per i numerosi tasselli della storia e i tanti personaggi secondari. Nel corso della prima stagione, quasi sicuramente, ci sarà lo spazio necessario ad aggiungere sfumature e dettagli utili a rendere l’approfondimento psicologico più convincente e rilevante, tuttavia l’esordio, purtroppo, non è all’altezza delle aspettative.