Figli del mondo – La graphic novel ispirata ai brani di Francesco De Gregori che omaggia i cani

Figli del mondo è l’affascinante graphic novel scaricabile gratuitamente sul sito di LNDC Animal Protection (a questo link) che omaggia i cani, molto presenti nei brani di Francesco De Gregori.

Tramite citazioni e immagini, ispirati a venti canzoni del cantautore romano, viene raccontato tra le pagine l’intreccio d’amore, e di silenziosa comprensione capace di creare non solo legami tanto intensi quanto indissolubili, ma anche momenti di intimità unici, come quelli che segnano il cammino delle grandi amicizie della vita. Il rapporto tra l’uomo e il cane, quindi, può ed è tutto questo, sia nelle canzoni di De Gregori sia nelle attività giornaliere di LNDC Animal Protection, degli oltre 3mila volontari e di tutto il team dell’associazione che strenuamente lavora per portare questi preziosi compagni di vita ad essere rispettati, protetti, riconosciuti, amati, ma anche spesso salvati da morte certa. La lotta per la vita e l’amore che ne scaturisce, infatti, è l’altro tema al centro dell’opera, densa anche di momenti poetici e riflessivi nei quali uomo e animale viaggiano senza ombra di dubbio sulla stessa strada, dentro un orizzonte comune.

Da Quattro cani fino a Due Zingari e Sempre per sempre le immagini di questa amicizia scorrono nelle pagine della graphic novel scritta e voluta da Michele Pezone, responsabile diritti animali LNDC Animal Protection che, con questo lavoro, ha voluto togliersi le vesti di avvocato a difesa degli animali per indossare quelle, decisamente più romantiche, di uomo in osservazione della vita. “La storia raccontata”, spiega Pezone, “è stata illustrata dal mio caro amico Francesco Di Gregorio e Francesco Colafella, valorizzata poi dal progetto grafico di Silvia Paglione. Vuole essere un omaggio da parte di LNDC, oltre che mio, a De Gregori per ringraziarlo di tutto quello che, senza saperlo, è stato per me e per tutte le persone che nei suoi brani hanno ritrovato e nutrito tante parti preziose di sé. E che continueranno a farlo, perché parole e musica non sbiadiscono, come la luce dell’antica e intramontabile amicizia che lega uomini e animali”.  

The Rural Diaries – Hilarie Burton Morgan: recensione

The Rural Diaries di Hilarie Burton Morgan è più di un’autobiografia: fin dalle prime pagine è in grado di far immergere i lettori in un’atmosfera piena di calore e onestà.
Dopo aver letto solo il prologo, personalmente, ho inserito il nome dell’attrice nella lista delle celebrities che vorrei tra i miei migliori amici in una dimensione parallela: non solo da bambina aveva degli ottimi gusti letterari, ma è riuscita a realizzare un sogno che una parte di me ha sempre avuto, ovvero vivere in una residenza in mezzo al verde e occuparsi di animali e piante restando distante da una società in cui i rapporti umani sono numerosi e, nella maggior parte dei casi, purtroppo sporadici e superficiali. James Herriot, Cime Tempestose, Black Beauty e i paesaggi fantastici e meravigliosi di capolavori come Il Signore degli Anelli e le Cronache di Narnia hanno influenzato la mia infanzia e hanno reso incredibilmente semplice comprendere le motivazioni che hanno spinto Hilarie e Jeffrey Dean Morgan a trasferirsi in una fattoria nell’area dell’Hudson Valley.

A metà tra Stars Hollow di Una mamma per amica e un’atmosfera in stile campagna inglese, il mondo raccontato tra le pagine sembra quasi troppo idilliaco per essere vero e l’attrice riesce a descrivere gli abitanti, le difficoltà quotidiane e ciò che anima la comunità quasi come se fosse un romanzo, senza evitare di affrontare tematiche drammatiche come le molestie sessuali subite durante la realizzazione di One Tree Hill, i problemi di fertilità, lutti e sconfitte. Hilarie Burton ha uno stile di scrittura scorrevole e non esita a condividere le proprie emozioni, permettendo così ai lettori di seguire l’evoluzione della sua vita privata e professionale senza filtri. La presenza tra le pagine di consigli pratici, ricette e foto rende la lettura ancora più stimolante e The Rural Diaries trasmette progressivamente la sensazione di non stare leggendo, ma avendo una conversazione con un’amica che non si vedeva da tempo e con cui sei felice di riprendere i contatti scoprendo cosa le è accaduto negli anni in cui non si hanno avuto contatti.

Il racconto del modo in cui si è evoluta la storia d’amore con Jeffrey Dean Morgan è proposto con una, forse, inaspettata onestà, senza nascondere i momenti di difficoltà e i problemi di comunicazione che avrebbero potuto causare un allontanamento. La rappresentazione mai idealizzata del loro rapporto è uno degli elementi migliori dell’opera e rende impossibile non vedere i post condivisi sui social media dalla coppia con ancora più affetto e simpatia.
Al termine della lettura, davvero scorrevole e coinvolgente, diventa complicato non dover fare i conti con la voglia di trascorrere più tempo in mezzo alla natura o resistere alla tentazione di trovare un modo per ordinare i dolci di Samuel’s oltreoceano, per provare tutte le specialità del negozio e poter sostenerne l’attività anche a distanza.

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Executive Order: recensione

Il regista Lázaro Ramos, al suo esordio alla guida di un lungometraggio, propone con Executive Order, presentato al Pan African Film Festival, un racconto ambientato in una società distopica in cui in Brasile prende il potere un governo autoritario che decide di imporre a tutti i cittadini che discendono da famiglie africane di abbandonare la nazione, situazione che causa caos, morte e la nascita di un movimento che cerca di resistere e opporsi alle nuove regole.
Alfred Enoch interpreta un avvocato, Antonio, che sembra avere davanti a sé un futuro sereno accanto alla moglie Capitu (Taís Araújo), ma si ritrova diviso dalla donna che ama e costretto a nascondersi nel proprio appartamento insieme al cugino, il giornalista Andre (Seu Jorge), con cui inizia a ribellarsi alle autorità e trasmettere video di protesta che attirano l’attenzione dei media e della popolazione, anche a livello internazionale. Capitu, nel frattempo, trova rifugio in un “afro-bunker” dove si nascondono molti cittadini di origine africana e si inizia a gettare le basi della resistenza.

Executive Order non sfrutta nel modo migliore il proprio potenziale e la struttura narrativa appare suddivisa in parti eccessivamente separate tra loro, proponendo fin troppi spunti e sottotrame che rendono l’insieme piuttosto confuso e incerto.
Uno degli elementi più convincenti è la gestione degli aspetti emotivi della vicenda e grazie a un’ottima performance di Enoch e di Araújo si viene coinvolti nelle loro reazioni al caos che li circonda, tra tentativi di mantenere la propria umanità e disperazione nel constatare che il proprio futuro sembra sia stato spazzato via per sempre. Il rapporto tra i personaggi non è sviluppato del tutto in modo adeguato, rendendo i passaggi maggiormente drammatici non all’altezza delle aspettative e gli elementi sociali e politici sono delineati fin troppo a grandi linee per rendere il contesto realistico e credibile. Executive Order riesce però a sfruttare a proprio favore un atto conclusivo ben costruito sulle basi di un paio di scene di grande impatto emotivo.

Il film di Ramos paga forse più del dovuto il prezzo dell’ambizione che contraddistingue il progetto, non trovando il giusto equilibrio tra commento sociale e dramma personale, tuttavia la bravura di Enoch e un paio di sequenze memorabili rendono la visione un’esperienza interessante e stimolante.

African American: la recensione

Il regista e sceneggiatore Muzi Mthembu propone con African American, presentato al Pan African Film Festival, un racconto al femminile di sogni che si scontrano con i limiti di una società, maschilista e in più occasioni razzista, problemi economici e le tradizioni culturali della famiglia in cui è cresciuta, in cui desideri come quello di lavorare nel campo dello spettacolo non sono visti di buon occhio.
Al centro della trama c’è Nompumelelo (Phumi Mthembu) che, dopo aver accettato un matrimonio combinato per aiutare la sua famiglia, scopre che era stata accettata come studentessa alla Julliard, la prestigiosa scuola d’arte, ma il padre le aveva nascosto la lettera di ammissione, facendole credere di non avere alcuna concreta possibilità di iniziare una carriera come cantante o attrice. La giovane decide quindi di lasciarsi alle spalle una vita che le sta stretta e partire con destinazione New York, subendo le conseguenze della sua ribellione. In suo aiuto, tuttavia, entra in scena Jaquan (Anthony Goss) con cui si stabilisce un rapporto complicato e non privo di conflitti.

African America riesce, inizialmente, a sviluppare bene le tematiche alla base della storia offrendo un ritratto significativo ed emozionante delle difficoltà che affrontano i giovani nati negli Stati Uniti, ritrovandosi divisi tra le proprie origini e un mondo diverso da quello in cui sono cresciuti i propri genitori e nonni. Phumi Mtembu possiede il carisma giusto per trasportare gli spettatori in una quotidianità complicata dal punto di vista emotivo e psicologico e coinvolgerli mentre si assiste ai rifiuti che riceve, alle ingiustizie subite e ai ricatti morali che deve affrontare. Il problema del film, tuttavia, è una sceneggiatura che nella seconda parte del racconto perde compattezza ed esagera portando situazioni ed emozioni sopra le righe e non trovando il modo di far evolvere la storia senza mai perdere il realismo che sembrava caratterizzarlo.
Il cast in più momenti fatica a non scivolare in interpretazioni fin troppo melodrammatiche, pur riuscendo a gestire bene i passaggi maggiormente dedicati ai tentativi di trovare il proprio posto nel mondo, a livello personale e professionale.


Un montaggio con meno passaggi a vuoto dal punto di vista narrativo avrebbe forse aiutato il film, che lascia invece la sensazione di ritrovarsi di fronte a un’opera promettente su cui sarebbe necessario lavorare ancora un po’.