A Panda piace l’avventura, recensione

A Panda piace l’avventura di Giacomo Keison Bevilacqua ha la capacità rara di divertire e commuovere in egual misura, affrontando con delicatezza e sensibilità tematiche molto importanti che portano i lettori a riflettere sui legami con la famiglia, gli amici e con il modo con cui ci si confronta e gestisce la propria ansia, ma anche l’ozio, la creatività e la pigrizia che il talento dell’autore rende dei veri e propri personaggi.

La storia raccontata nel volume a colori, edito in maniera davvero attenta da Feltrinelli Comics, prende il via quando Panda riceve un regalo inaspettato nel giorno del suo compleanno: un pennino che si rivela magico. Una serie di indizi lo porterà a compiere un viaggio ricco di sorprese per andare alla ricerca del nonno, accompagnato dalla sua amica Ansia.

A Panda piace l’avventura è un’opera in grado di conquistare lettori di tutte le età e anche chi potrebbe avere dei preconcetti o dubbi sulle graphic novel o le serie a fumetti. La storia, ricca di dolcezza e umorismo, conquista fin dalle prime pagine e tutti i personaggi sono delineati con grande cura, rendendo la narrazione, capitolo dopo capitolo, sempre più coinvolgente. Entrare nei dettagli di quanto raccontato rischierebbe di smorzare le emozioni suscitate o il divertimento, tuttavia non si può non lodare l’approccio intelligente alla rappresentazione della creatività e della pigrizia, senza dimenticare l’ormai, per chi segue da tempo l’artista, conosciuto ritratto di Ansia come una presenza quasi amica, seppur non priva di lati potenzialmente negativi di cui bisogna essere consapevoli.

Ogni tavola è ricca di dettagli, colori e significati che, senza retorica o forzature, portano a un epilogo toccante e, in particolare per chi ha vissuto un’esperienza simile a quella di Panda, davvero catartico.
A Panda piace l’avventura possiede il raro dono di far passare nel giro di poche pagine dalle risate alle lacrime e lasciare i lettori con la sensazione di essere più leggeri, meno soli e forse maggiormente indulgenti nei confronti dei propri momenti di debolezza e difetti, avendo imparato delle grandi lezioni di vita grazie a Panda, ai suoi amici e, soprattutto, ai nonni, non solo quelli del protagonista.*

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Pieces of a woman, recensione – Venezia 77

Pieces of a Woman è tra i film destinati a lasciare il segno nel cuore e nella mente degli spettatori nel 2021 e che si inserisce tra i titoli da non perdere su Netflix destinati a essere al centro della corsa alle nomination dei riconoscimenti più importanti della stagione cinematografica, posticipata di qualche mese a causa delle conseguenze della pandemia, compresi gli ambiti Oscar.
Vanessa Kirby, già apprezzata dalla critica grazie al ruolo della principessa Margaret nelle prime due stagioni di The Crown, trova nel film diretto da Kornél Mundruczó un ruolo che le permette di dimostrare sul grande schermo il proprio talento e una grande intensità emotiva, elementi messi al servizio della sceneggiatura firmata da Kata Wéber e tratta dall’omonimo spettacolo teatrale di cui si sente più volte, per quanto riguarda la messa in scena, l’influenza.

Al centro della trama del film c’è la coppia composta da Martha (Kirby) e Sean Carson (Shia LaBeouf), pronti finalmente a diventare genitori. La loro felicità si trasforma però in tragedia durante il parto in casa. La vita di Martha va letteralmente in pezzi e il rapporto con il marito e la madre (Ellen Burstyn) paga le conseguenze di un trauma incomprensibile e inaspettato.

Pieces of a Woman si apre con un piano sequenza già al centro di dibattiti e numerosi articoli, ma la vera forza del lungometraggio è nella capacità di portare in scena il senso di smarrimento e i tentativi, così umani e proprio per questo imperfetti, di ricominciare a vivere e trovare un senso a uno dei lutti peggiori che si possano vivere. Vanessa Kirby si immerge totalmente nelle luci e nelle ombre della protagonista e delle sue decisioni a tratti controverse, regalando innumerevoli sfumature a Martha, seguendo l’evoluzione delle sue emozioni senza mai risultare sopra le righe o forzata.
Accanto a lei Shia LaBeouf – i cui sogni di essere in corsa per un Oscar sembrano ormai ostacolati definitivamente dalle accuse di violenza e abusi che gli sono stati rivolti da FKA Twigs – propone un’altra performance di spessore nonostante la figura di Sean sia delineata maggiormente a grandi linee e non sia priva in più passaggi di stereotipi.
Dispiace, invece, che all’esperta Ellen Burstyn sia stato affidato uno dei monologhi maggiormente fuori luogo e il cui contenuto legato agli eventi storici appare poco motivato e superfluo. Sarah Snook, la grande rivelazione di Billions, e Molly Parker, inoltre, avrebbero forse meritato uno spazio maggiore per far emergere i propri personaggi dall’ombra della performance di Vanessa Kirby che si inserisce senza difficoltà tra le migliori degli ultimi anni.

La sceneggiatura di Kata Wéber, pur essendo influenzata dalle origini teatrali, non esita mai a portare in scena anche le decisioni più discutibili compiute da Martha trovando il modo di impedire giudizi frettolosi nei confronti di una donna alle prese con la sofferenza. Nonostante sia un film imperfetto, Pieces of a Woman diventa un affascinante viaggio nella mente e la regia di Mundruczó riesce a sfruttare nel migliore dei modi le interpretazioni del proprio cast che permettono di superare l’eccessiva frammentazione della narrazione conducendo a un finale che potrebbe lasciare persino interdetti con la sua carica di speranza e luce al termine di un percorso così carico di tensione emotiva e oscurità.

Duro, spiazzante e coinvolgente nella sua tragicità, Pieces of a Woman rende Vanessa Kirby uno dei volti che gli appassionati di cinema ricorderanno di più nel 2021, in grado di spingere con i suoi sguardi a riflettere sul significato di maternità e sulla capacità di sopravvivere anche quando tutto nella propria vita è stato spezzato e travolto.