Three Kings, recensione – Old Vic: In Camera

Three Kings, l’emozionante opera scritta da Stephen Beresford per l’iniziativa Old Vic: In Camera, ritorna nelle case grazie a In Camera: Playback dal 2 al 4 dicembre, permettendo così di apprezzare nuovamente l’enorme talento di Andrew Scott, alle prese con un testo che fa emergere la sua incredibile versatilità e un’intensità che sfiora l’animo dello spettatore come accade raramente.


Il monologo affronta il tema del rapporto tra genitori e figli raccontando la storia di Patrick da quando ha otto anni all’età adulta, alle prese con un padre assente con cui cerca di creare e mantenere un legame nonostante le costanti delusioni e le sofferenze causate. Patrick ripercorre la vita del genitore attraverso quel rapporto disfunzionale, dando spazio alla propria evoluzione e crescita emotiva fino a un epilogo che commuove fino alle lacrime.

‘You can’t love what disappoints you’. He says. ‘Can You?’ And before I answered that, because I can answer that, he says something I never expected to hear in a voice that I’ve never heard him use. ‘Will you pray for me?’

Beresford ha firmato con Three Kings un testo di rara bellezza nonostante la durezza degli eventi raccontati seguendo il racconto di Patrick che ripercorre le sue interazioni con il padre assente e distaccato emotivamente da quando era bambino e cerca di risolvere il gioco dei Tre re nel disperato tentativo di conquistarne l’ammirazione. L’opera teatrale dà poi spazio alla delusione adolescenziale e alla consapevolezza che contraddistingue l’età adulta, fino all’addio e al lutto, dovendo fare i conti con un’eredità emotiva e scoperte legate alla famiglia che obbligano a rivalutare molti elementi della propria vita.
L’autore sa calibrare perfettamente gli elementi più drammatici con un approccio narrativo in cui non manca l’ironia e la dolcezza, approfondendo in modo semplice, realistico e coinvolgente le varie fasi della storia.


Three Kings sembra davvero costruito su misura per Andrew Scott e risulta praticamente impossibile immaginare un altro attore nel ruolo di Patrick: la star di Sherlock e Fleabag sa trovare il giusto approccio a ogni segmento dell’opera, sottolineando tutte le differenze esistenti nelle varie fasi della vita del suo personaggio con la postura, il tono della voce, le pause e sguardi che, grazie alla versione streaming di Three Kings, possono essere apprezzati al meglio con le inquadrature ben studiate per seguire la performance dell’attore.
Scott nella parte di Patrick vi spezzerà il cuore e vi regalerà un viaggio nella mente e nel cuore di un figlio che obbligherà a riflettere sul significato di paternità e di amore, e sulle ferite interiori che ognuno di noi subisce, per vari motivi, e con cui deve convivere durante la propria esistenza.

Se non avete avuto occasione di assistere alle rappresentazioni andate in scena a settembre, non perdete l’occasione di apprezzare un’opera davvero indimenticabile che si spera di vedere in futuro dal vivo tra le mura di un teatro.

If Anything Happens I Love You – Da non perdere su Netflix

If Anything Happens I LoveYou è uno dei titoli da non perdere disponibili su Netflix in queste ultime settimane del 2020.
Il cortometraggio animato è stato scritto e diretto da Michael Govier e Will McCormack, recentemente co-sceneggiatore di Toy Story 4.

I protagonisti sono due genitori che, a causa del dolore causato dalla morte della loro figlia, si sono allontanati. Nonostante non si parlino tra loro, le loro emozioni prendono forma grazie a delle ombre. Marito e moglie affrontano il lutto in modo diverso, ma quando per un piccolo incidente un giradischi pesente nella stanza della ragazzina inizia a suonare il brano 1950, i due coniugi si riavvicinano e iniziano a ricordare gli eventi principali della vita della figlia, permettendo così di scoprire anche il motivo della sua morte e il significato della frase che dà il titolo all’opera.

L’animazione dallo stile semplice ma estremamente espressivo, con un bianco e nero interrotto solo da alcuni sprazzi di colore, e la storia davvero emozionante rendono la visione di If Anything Happens I Love You un viaggio nel dolore davvero difficile da raccontare di chi perde il proprio figlio a causa di un evento drammatico. L’uso intelligente e creativo delle ombre e il messaggio di grande impatto lasciano il segno nell’anima e nella mente degli spettatori che non possono che lasciarsi coinvolgere da una storia tristemente sempre attuale, rendendo i dodici minuti del cortometraggio una rappresentazione realistica, tagliente e significativa che si rivolge non solo a chi ama l’animazione, ma raggiunge senza difficoltà ogni tipologia di spettatore.

Happiest Season, recensione

Clea DuVall firma con Happiest Season la prima commedia natalizia romantica con al centro una coppia omosessuale, distribuita negli Stati Uniti grazie a Hulu, e il progetto con star Kristen Stewart e Mackenzie Davis ricrea infatti alla perfezione gli schemi dei progetti che invadono gli schermi televisivi e cinematografici nel periodo delle feste, offrendo un racconto forse più amaro rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare, ma ugualmente in grado di riscaldare i cuori e strappare qualche sorriso.

Al centro della trama c’è la coppia composta da Abby (Kristen Stewart) e Harper (Mackenzie Davis), la cui relazione è ormai consolidata. Le due giovani hanno un approccio molto diverso nei confronti delle feste natalizie: Abby, i cui genitori sono morti ormai da tempo, non ama il clima leggero e gioioso che anima le giornate di dicembre, mentre la sua compagna ama le tradizioni in famiglia e la possibilità di ritrovarsi insieme ai genitori e alle sorelle. Harper, a sorpresa, decide di invitare Abby a trascorrere il Natale a casa sua e Abby decide quindi di cogliere l’occasione per chiederle di sposarla, pianificando persino di chiedere la sua mano al padre dell’amata che non ha ancora incontrato. Il suo amico John (Daniel Levy) pensa sia una pessima idea, ma la ragazza vuole rendere ufficiale il loro legame. Abby, tuttavia, non sa che Harper le ha mentito e non ha detto alla sua famiglia di essere omosessuale per timore delle possibili reazioni. Il padre Ted (Victor Garber) è un politico impegnato a ottenere il sostegno necessario a venir eletto sindaco, sfruttando anche il sostegno della moglie Tipper (Mary Steenburgen) che cerca in ogni modo di trasmettere l’immagine della famiglia perfetta. A pagare il prezzo di questo tentativo di incarnare degli ideali irragiungibili sono anche le sorelle di Harper, l’estroversa e creativa Jane (Mary Holland), costantemente sottovalutata dai genitori, e la fredda Sloane (Alison Brie), che sembra essere considerata solo in quanto moglie e madre. Abby, per amore di Harper, accetta di fingere e di essere la coinquilina di Harper, invitata a trascorrere le vacanze insieme all'”amica” solo perché orfana e reduce dalla fine di una relazione. Mentire sarà però più difficile rispetto a quanto previsto e Abby metterà in dubbio la sua storia d’amore, stringendo inoltre amicizia con Riley (Aubrey Plaza), il primo amore di Harper che ha duramente pagato il prezzo dell’incapacità della giovane di rivelare la verità sui suoi sentimenti.

happiest season poster

La sceneggiatura firmata da Clea DuVall e Mary Holland si muove su binari già visti tra le fila delle commedie romantiche e, pur privando il film di qualsiasi svolta a sorpresa, permette agli spettatori di rilassarsi totalmente durante la visione, rassicurati dal certo lieto fine della storia. Come sempre è però il modo in cui si arriva all’epilogo la parte più importante della narrazione e Happiest Season offre un insieme di situazioni che suscitano un po’ di malinconia per il trattamento riservato a Abby, divertimento grazie alla presenza di John ,che ricorda per più aspetti George nel cult Il matrimonio del mio migliore amico ,e alle stranezze di Jane, e leggerezza grazie al susseguirsi di ostacoli che affronta la coppia.
Kristen Stewart sembra la scelta perfetta per la parte di una ragazza che deve affrontare il crollo delle sue certezze e si ritrova in difficoltà nel tentativo di sostenere e capire la persona che ama, incarnando bene l’amarezza e il dolore provato nella mancanza di coraggio di vivere pienamente il proprio amore. Mackenzie Davis possiede la capacità di rendere l’insicurezza di Harper comprensibile e, in fondo, non del tutto condannabile, trasmettendo inoltre una sensibilità che contribuisce a costruire un personaggio che non si può odiare nonostante i comportamenti scorretti nei confronti di Abby. Alison Brie è come sempre convincente nei panni della fin troppo controllata Sloane, che si sente usata da dei genitori che sembrano preferire la sorella sotto ogni aspetto della loro vita, e Mary Holland è una presenza utile ad alleggerire un’atmosfera in più momenti fin troppo drammatica nel rappresentare la sofferenza vissuta da chi va sempre alla ricerca dell’approvazione degli altri soffocando i propri sentimenti e la propria identità. Aubrey Plaza è poi molto brava nel rappresentare una donna forte che ha trovato il proprio equilibrio nonostante i pregiudizi e le cattiverie, e le scene in cui è protagonista accanto a Kristen Stewart, nel club e durante la festa di Natale, sono tra le migliori del film. La coppia Garber-Steenburgen mette a frutto la propria esperienza e riesce a rendere l’evoluzione dei personaggi realistica e, nonostante i tempi brevi, naturale. Impossibile, inoltre, non lodare Daniel Levy nella parte di John: la star di Schitt’s Creek sa egalare alcuni dei momenti più divertenti, con le sue reazioni alla situazione di Abby e il suo poco talento nell’occuparsi degli animali, ed emozionanti grazie a una sequenza girata accanto a Kristen che lascia il segno per la onestà e intensità.
La regia di Clea DuVall riflette alla perfezione le commedie natalizie più tradizionali sotto ogni punto di vista: dalle sequenze “illustrate” dei titoli di testa e di coda all’uso della colonna sonora, senza dimenticare il crescendo di tensione in famiglia che conduce a un inevitabile confronto e l’ovvia quantità superiore alla norma di buoni sentimenti.

Oltre alla composizione della coppia al centro della trama il film non offre nulla di realmente nuovo e proprio questa “normalità” rende Happiest Season una proposta perfetta per la stagione delle feste, dando finalmente spazio alla rappresentazione dell’amore in tutte le sue forme senza pregiudizi, contribuendo a portare sugli schermi storie in cui tutti possano riconoscersi.

Matt Haig – La Biblioteca di Mezzanotte

Matt Haig propone con La biblioteca di mezzanotte un romanzo che riesce a rivolgersi con sensibilità ed efficacia a chiunque si trovi in un momento difficile o, semplicemente, si sia chiesto almeno una volta come sarebbe cambiata la propria vita se si fossero compiute delle scelte diverse.
La protagonista Nora Seed ha perso ogni speranza: il suo gatto è morto, è stata appena licenziata, il fratello non le rivolge più la parola, i suoi sogni di diventare una campionessa di nuoto o una cantante di successo sono da tempo andati in fumo, e la sua vita non sembra avere più uno scopo. Nora è assolutamente convinta di voler morire e quando tenta di suicidarsi si ritrova inaspettatamente in una biblioteca. Tra la vita e la morte esiste infatti un luogo dove si riceve la possibilità di “provare” delle vite diverse, rivalutando così l’importanza dei rimpianti avuti nella propria esistenza.

L’esperienza personale di Haig con la depressione e i problemi mentali aiuta a delineare un racconto significativo che sfrutta la teoria dell’esistenza degli universi paralleli per celebrare ciò che rende una vita degna di essere vissuta e le infinite possibilità che ognuno di noi ha in ogni momento.
Lo scrittore costruisce una storia semplice che però riesce a rivolgersi a tutti senza eccedere nella retorica, partendo dalla figura di una donna che sembra aver perso tutte le occasioni per essere felice. Attraverso l’espediente della Biblioteca di Mezzanotte, una specie di limbo che assume caratteristiche diverse in base alla persona che ci si ritrova, si esplorano tutte le direzioni che la vita di Nora avrebbe potuto prendere, scoprendo così che non esiste una vita perfetta, ma ogni possibile decisione porta a diverse combinazooni di problemi e insoddisfazione.


Il romanzo di Haig è costruito in modo scorrevole e, nonostante il rischio di risultare ripetitivo e ridondante, riesce invece a mantenere alta l’attenzione del lettore che segue Nora comprendendone le debolezze e la sensibilità, elementi che la portano ad affrontare il rapporto con gli altri e chi fa parte della sua vita con fin troppa attenzione per i sentimenti e le opinioni degli altri.
La biblioteca di mezzanotte, pur rimanendo sulla superficie di certi aspetti della storia e costruendo le situazioni per dimostrare la teoria alla base del progetto, è un’opera piacevole dal messaggio importante, adatta per chi cerca una lettura che affronta le tematiche del lutto, dei rimpianti, dei sogni mai realizzati e delle ambizioni non seguite con semplicità, un pizzico di magia e addentrandosi in atmosfere molto vicine a La vita meravigliosa, un classico che ha lasciato il segno in tante generazioni, destino che il libro di Haig sembra in grado di replicare senza troppa fatica.