In case of emergency, la recensione – Heartland 2020

La regista Carolyn Jones ha realizzato con il documentario In Case of Emergency un ritratto necessario ed emozionante di chi ha scelto il mestiere di infermiere negli Stati Uniti, seguendo alti e bassi quotidiani e arrivando fino alla prima fase della pandemia che ha avuto un impatto innegabile nel lavoro di professionisti che mettono a rischio la propria vita durante l’emergenza sanitaria.
Il progetto, realizzato nel corso di due anni, non si concentra su un’unica struttura sanitaria ma offre un ritratto ricco di sfumature della quotidianità che contraddistingue il pronto soccorso, dimostrando inoltre come quello che accade tra le mura dell’ospedale rifletta la società contemporanea americana alle prese con violenza, dipendenze, solitudine e povertà, elementi che hanno un peso importante nello stato di salute degli esseri umani.


Gli infermieri intervistati, davanti alla telecamera, parlano apertamente del modo in cui affrontano il lavoro e le conseguenze emotive delle situazioni che devono gestire ogni giorno, mentre la telecamera immortala la bravura con cui affrontano anziani che non hanno nessuno che si prenda cura di loro, madri in ansia, giovani che devono rilassarsi per affrontare esami complicati, persone che cercano di disintossicarsi, tentativi di suicidio e pazienti che bisogna visitare per capire chi ha bisogno di cure immediate. Le testimonianze dei professionisti emozionano e portano così alla luce il lato più umano e vulnerabile di chi ha scelto un lavoro che lascia il segno.

In Case of Emergency regala un ritratto davvero memorabile del mondo del pronto soccorso dove la rapidità di intervento e il talento nel campo della medicina determinano il destino delle persone e, al tempo stesso, sottolinea tutti i problemi del sistema sanitario americano attraverso i racconti di chi è sempre impegnato in prima linea.
Il documentario si apre e chiude con la testimonianza di Cathlyn Robinson, che lavora al St. Joseph’s University Medical Centerson a Paterson, New Jersey, dopo l’inizio dell’emergenza causata dal COVID-19 e immediatamente si può notare la differenza di atmosfera e il senso di impotenza che contraddistingue il periodo che gli infermieri stanno affrontando in tutto il mondo. Nel volto e nei gesti di Cathlyn è impossibile non notare la differenza rispetto alle scene girate in precedenza e le sue parole, misurate e sensibili, affiancano quelle dei suoi colleghi che hanno parlato delle perdite subite negli ultimi mesi e dell’ansia sempre presente in una situazione così incerta e pericolosa.


Carolyn Jones, con il suo documentario, sa mettere in primo piano il coraggio, il determinazione, l’empatia e l’intuizione che rendono gli infermieri un tassello essenziale della società e i loro racconti permettono inoltre di capirne i problemi che andrebbero affrontati e risolti per poter sperare in un futuro migliore, pur essendo consapevoli che il Coronavirus ha peggiorato ulteriormente un sistema che stava già pagando duramente il prezzo di scelte politiche che hanno ben poco a che fare con la salute dei cittadini.

In case of emergency mostra i lati positivi e quelli negativi di una professione che richiede vocazione e dedizione, obbligando chi la pratica a fare spesso i conti con delle conseguenze importanti sulla propria salute mentale e sull’equilibrio esistente nella propria vita, diventando una visione obbligatoria per capire l’importanza di una categoria che merita di essere celebrata ogni giorno, non solo durante un’emergenza.

Canneseries 2020 – Short Form Competition

Canneseries 2020 ha presentato anche l’interessante sezione Short Form Competition, dedicata ai progetti composti da episodi di breve durata, ecco le impressioni sui titoli proposti in questa edizione dell’evento dedicato alle serie televisive.

Amours d’occasion, serie canadese diretta da Eva Kabuya. Montreal viene colpita da un’ondata di calore che fa scivolare la città in uno stato di torpore, portando gli abitanti del quartiere di Saint-Henri a fare i conti con eventi inspiegabili. I primi due episodi propongono altrettante storie, mostrando i protagonisti alle prese con i fantasmi del passato. Il progetto ha alcuni elementi interessanti alternati ad una gestione non sempre brillante del cast. La breve durata rende davvero complicato prevedere se il potenziale verrà sfruttato nel migliore dei modi.


Broder, progetto argentino diretto da Mauro Pérez Quinteros.
Il primo episodio presentato a Canneseries 2020 introduce bene l’atmosfera e il mondo in cui vivono i due protagonisti tra musica, artisti di strada, povertà e crimini. Al centro della trama ci sono Mirko e Roma, fratello e sorella che si presentano a casa della nonna Patria, nella periferia di Buenos Aires, per trasferirsi da lei, scoprendo che vivono accanto allo studio di registrazione El Tri, dove creano musica artisti come Núcleo AKA Tintasucia, Klan, Cazzu, Rebeca Flores, MPDhela.
I primi dieci minuti non permettono di scoprire molto dei personaggi, tuttavia la relazione dei giovani con l’anziana sembra in grado di regalare più di un elemento interessante dal punto di vista narrativo e la colonna sonora sembra davvero efficace.



Claire and the Elderly (Claire et les vieux). L’adorabile serie canadese diretta da Charles Grenier racconta quello che accade quando Claire, che ha solo 9 anni, viene affidata alla nonna dopo che la madre viene ricoverata in ospedale dopo un’overdose. La bambina si ritroverà così in un ambiente molto particolare rappresentato dalla residenza per anziani in cui alloggia, temporaneamente. La naturalezza che caratterizza l’interpretazione della giovane protagonista e l’atmosfera all’insegna della sensibilità e del calore umano rendono la visione della prima puntata davvero piacevole e invogliano a scoprire in che modo si evolverà la storia di Claire.


Christmas on Blood Mountain diretta da Lars Kristian Flemmen. La serie norvegese racconta quello che accade quando l’investigatore privato Svein Soot e Nana Soot (un grande esperto nel rintracciare i doni di Natale nel servizio postale danese) vengono ingaggiati per investigare su un cold case: la scomparsa della diciassettenne Sofia Juul, unica erede dell’impero economico, che sfrutta il Natale, Blodnissene AS. I due protagonisti avranno poco tempo a disposizione, solo 24 ore, per risolvere il mistero.
La prima puntata della serie è molto coinvolgente e scorrevole, introducendo un whodunit originale per ambientazione e caratteristiche dei personaggi coinvolti.


Cryptid. La serie “horror” prodotta in Svezia e diretta da David Berron racconta ciò che accade allo studente Niklas dopo che uno dei suoi compagni di scuola muore davanti ai suoi occhi, “esplodendo”. La vita del teenager è inoltre complicata dal ritorno inaspettato della sorella, facendolo scivolare nelle paure e nei traumi.
Il primo episodio presentato a Canneseries 2020, a causa della sua breve durata (10 minuti), rende davvero complicato capire in che direzione si muoverà il racconto e se i protagonisti saranno in grado di sostenere i tanti passaggi surreali della trama e i momenti più terrificanti del racconto.


Deadhouse Dark è un progetto australiano composto da varie storie che propongono racconti terrificanti ispirati a trend moderni come dark web, influencers e tentativi di ottenere facilmente la fama. A Canneseries sono state proposte la prima e la quinta puntata anticipando un po’ dell’originalità e dell’approccio personale dei filmmaker coinvolti.


First Person è il progetto canadese che adatta i contenuti proposti nell’omonima rubrica pubblicata su Globe and Mail che dà voce alle esperienze e ai racconti dei lettori.
Il quarto episodio girato con un espressivo bianco e nero, in particolare, con un incontro inaspettato riesce a emozionare grazie alle interpretazioni delle due protagoniste: un’anziana che deve fare i conti con una decisione drammatica che ha dovuto prendere e una giovane che ascolta quanto accaduto, dovendo capire in che modo reagire e come aiutare la sconosciuta che si trova di fronte a lei.


The Writers. A Short Stories è un progetto polacco ideato dal regista Mikołaj Lizut che ha invitato alcuni scrittori a ideare, senza alcuna regola da seguire, dei racconti brevi che non dovevano superare quota cinque minuti una volta adattati per lo schermo. I due protagonisti sono Magdalena Cielecka e Maciej Stuhr, alle prese con situazioni, emozioni e problemi davvero di ogni genere. Delle puntate proposte a Canneseries non si può che non apprezzare una surreale storia d’amore mostrata in tutte le sue fasi, dall’inizio e dall’epilogo davvero inaspettati.


Tony arriva dall’Argentina e racconta la storia di Victoria, una giovane che scopre di essere incinta. La protagonista si ritrova così alle prese con le opinioni dei suoi amici riguardanti un possibile aborto e, inaspettatamente, con delle telefonate, messaggi e vari contenuti il cui destinatario è qualcuno chiamato Tony, che non conosce, che era il precedente proprietario del suo telefono.
I primi dieci minuti del progetto possiedono un ottimo ritmo e un intreccio interessante, suscitando la curiosità di scoprire che scelta prenderà la giovane e se troverà il misterioso Tony.


Zero Day, al festival Canneseries 2020, è stato presentato mostrando undici dei sessanta brevi cortometraggi della durata di due minuti che compongono la prima stagione.
Si passa così da quello che accade a una giovane ossessionata dai selfie alla storia di fantasmi ambientata in un campo dove dei ragazzini giocano a basket, passando da un battesimo andato male a un possibile incubo che potrebbe essere reale, dalla vendetta di un mimo dotato di poteri alle conseguenze della scelta di compiere un esame del DNA, senza dimenticare la raccapricciante situazione che affronta una donna che deve ricreare i volti dei morti analizzandone i teschi a racconti con al centro creature terreficanti o ambientate nello spazio, fino ad arrivare a una roomba assassina.
La grande varietà degli approcci al genere e i tanti spunti narrativi rendono la visione di Zero Day piuttosto intrigante e divertente. La breve durata, inoltre, mostra l’approccio unico dei filmmaker coinvolti.

Canneseries 2020 – Top Dog

Top Dog, presentata a Canneseries 2020, è una serie svedese che sfrutta ancora una volta l’idea di una collaborazione tra due persone molto diverse tra loro per risolvere un mistero, in questo caso la scomparsa di un giovane molto ricco.

L’erede di una delle famiglie più benestanti della Svezia, Nikola (Gustav Lindh), riceve ufficialmente le redini dell’attività di famiglia, ma si ritrova alle prese con dei criminali che lo derubano e lo minacciano. Il giovane scompare misteriosamente e a indagare sul caso sono l’avvocato Emily (Josefine Asplund) e l’ex condannato Teddy (Alexej Manvelov).

Le prime due puntate introducono bene le figure dei due protagonisti che, per motivi diversi, hanno entrambi subito delle perdite importanti e sono alla ricerca di una possibilità di redenzione e di una seconda occasione nella vita. La dinamica che si forma tra di loro, tuttavia, non viene costruita in modo impeccabile e suscita qualche dubbio riguardante il modo in cui il racconto riuscirà a gestire le interazioni tra due personalità così differenti. Il cast riesce comunque a sostenere bene lo script, non privo di punti deboli, e il mistero riguardante quanto accaduto all’erede dell’azienda sembra in grado di mantenere alta la curiosità e l’attenzione.

Due episodi non sono abbastanza per capire se Top Dog si svilupperà in modo convincente fino all’epilogo della storia, tuttavia possiede il potenziale per lasciare soddisfatti gli appassionati delle serie di genere crime.

Canneseries 2020 – Red Light

Carice Van Houten, conosciuta dal pubblico internazionale grazie al ruolo di Melisandre in Game of Thrones, torna sul piccolo schermo con un ruolo da protagonista gazie a Red Light, progetto scritto da Esther Gerritsen (Instict) e ambientato nel mondo della prostituzione e dello sfruttamento delle donne.

Evi (Maaike Neuville) è una detective alle prese con crimini terribili e che ogni giorno si lascia alle spalle morti e violenze prima di tornare a casa, dove è una madre e una moglie dal passato complicato. Esther (Halina Reijn) è una cantante lirica che, dopo l’improvvisa morte del padre, scopre che il marito le nasconde molte cose. Sylvia (Carice Van Houten) gestisce infine un bordello nel quartiere a luci rosse di Antwerp vivendo una relazione con il proprietario del locale che da tempo le promette un futuro migliore che non sembra mai realizzarsi. Gli eventi di una notte intrecciano la vita delle tre donne in modo indelebile.

Red Light, serie diretta da Wouter Bouvijn e Anke Blondé, è caratterizzata da un’atmosfera suggestiva che enfatizza gli aspetti drammatici del racconto e le interpretazioni davvero di livello. Dei tre personaggi principali, come prevedibile, è quello affidato a Carice Van Houten che attira l’attenzione e la cattura portando lo spettatore a voler sapere qualcosa in più di questa enigmatica donna che sostiene di non essere vittima, ma subisce dell’evidente violenza emotiva e psicologica. Il sottile confine tra vittima e carnefice è sempre presente e assistere alle lezioni di Sylvia al personale, l’attacco da parte di un cliente e alla reazione del compagno a una notizia che potrebbe cambiare per sempre la loro vita rappresentano due lati della stessa medaglia che mostrano le sfumature di una realtà difficile da rappresentare in modo obiettivo rimanendo alla giusta distanza dalle scelte dei protagonisti e degli eventi.

La sceneggiatura dei primi due episodi delinea in modo interessante anche le altre due figure femminili al centro del racconto, dando spazio anche alla brutale violenza e allo squallore che contraddistingue la vita di chi si mantiene vendendo il proprio corpo.
Nonostante gli episodi non siano privi di passaggi sopra le righe o non del tutto motivati dal punto di vista narrativo, l’esordio di Red Light mantiene alta l’attenzione e colpisce in modo efficace dal punto di vista emotivo, lasciando la curiosità di scoprire come proseguirà la storia delle tre donne.

Canneseries 2020 – Partisan

Una comunità apparentemente all’insegna dell’agricoltura biologica e dell’accoglienza nei confronti dei giovani in difficoltà potrebbe nascondere attività criminali e segreti oscuri, e la serie Partisan, presentata in concorso a Canneseries 2020, sviluppa questi spunti narrativi nelle prime due puntate costruendo bene l’atmosfera, pur suscitando qualche perplessità dal punto di vista della costruzione del racconto.
La storia si svolge nell’apparentemente idilliaca area di Jordnära, una comunità privata che ha un fiorente commercio di prodotti agricoli. Johnny (Fares Fares) arriva con il compito di essere uno dei nuovi camionisti, ricevendo inoltre il compito di accompagnare in questo mondo Nicole (Sofia Karemyr) e Maria (Ulvali Rurling), due giovani dalla vita complicata e che sperano di trovare un po’ di pace ed equilibrio in questo nuovo gruppo. Johnny, tuttavia, potrebbe avere dei segreti che non ha ancora rivelato e dei motivi che verranno svelati puntata dopo puntata.

Partisan costruisce bene il contrasto tra l’immagine apparentemente perfetta che circonda la comunità e alcuni dettagli disturbanti che mettono in dubbio i veri scopi di questo gruppo quasi in stile setta.
Le prime due puntate sfruttano con intelligenza le differenze tra Nicole e Maria, che reagiscono in modo quasi opposto all’arrivo a Jordnära, e all’atteggiamento di Johnny, fin dalle prime scene evidentemente impegnato a nascondere qualcosa.
Le interpretazioni dell’intero cast sono convincenti, tuttavia elementi come le attività fisiche tra i giovani o i comportamenti di alcuni personaggi secondari non vengono spiegati in modo adeguato, sembrando così dei semplici stereotipi legati alle organizzazioni in stile setta.

I due episodi gettano comunque delle basi interessanti per lo sviluppo del racconto, come le dinamiche che si creano rapidamente grazie all’arrivo di una teenager dalla personalità ribelle e poco interessata a lasciarsi manipolare, e ai primi dettagli che approfondiscono la vita di Johnny interpretato con convizione da Fares, recentemente apparso anche in show di successo come Westworld e Tyrant.
La serie creata da Amir Chamdin, in base alle prime due puntate, possiede del potenziale interessante che potrebbe dare vita a un progetto in grado di lasciare il segno, ma il rischio che gli autori non siano riusciti a mantenere le redini dei tanti elementi a disposizione è concreto e bisognerà attendere per capire se le interpretazioni dei protagonisti saranno sostenute da uno script in grado di valorizzarle.

Canneseries 2020 – Man in Room 301

Arriva dalla Finlandia la serie Man in Room 301 che si inserisce, purtroppo senza molta originalità, nel filone delle serie drammatiche britanniche che, attraverso un evento drammatico, affrontano i temi della giustizia e delle reazioni emotive agli errori compiuti e alle scelte prese nella propria vita.
Il racconto prende il via nell’estate 2007 quando la famiglia Kurtti stra trascorrendo le proprie vacanze in mezzo alla natura. Il piccolo Tommi, che ha solo 2 anni, viene però ucciso da un colpo di arma da fuoco e il dodicenne Elias, che vive vicino ai protagonisti, viene accusato della sua morte. Dodici anni dopo, nell’estate 2019, i Kurtti pensano di rivedere Elias in Grecia, nella stanza 301 della struttura alberghiera dove alloggiano. La tensione aumenta quindi in modo esponenziale, facendo emergere traumi e rabbia repressa troppo a lungo.

La serie Man in Room 301, creata dall’attrice Kate Ashfield e diretta da Mikko Kuparinen, fatica nelle prime due puntate a costruire una struttura narrativa in grado di sostenere gli aspetti emotivi del racconto: i personaggi sono delineati troppo a grandi linee e i salti temporali tra passato e presente rendono complicato, dopo sole 2 puntate, capire le motivazioni dei protagonisti o le reazioni al dramma avvenuto.
La frammentazione del racconto non aiuta a lasciarsi coinvolgere e, nonostante la serie si basi su uno spunto interessante, il confronto con show di genere analogo, in particolare prodotti nel Regno Unito, non aiuta ad apprezzare il lavoro compiuto dal cast e dalla troupe.

Gli attori offrono una buona interpretazione, tuttavia il mistero al centro dello show non intriga abbastanza da suscitare interesse per i numerosi tasselli della storia e i tanti personaggi secondari. Nel corso della prima stagione, quasi sicuramente, ci sarà lo spazio necessario ad aggiungere sfumature e dettagli utili a rendere l’approfondimento psicologico più convincente e rilevante, tuttavia l’esordio, purtroppo, non è all’altezza delle aspettative.

Canneseries 2020 – Losing Alice

La serie israeliana Losing Alice (L’abed et Alice) prova a capire fino a che punto si è disposti a spingersi pur di ottenere potere e realizzare i propri sogni attraverso una storia in cui le protagoniste sembrano pronte a vendere la propria anima.

I primi minuti del progetto televisivo mostrano una scelta drammatica compiuta da una giovane donna che si toglie la vita sparandosi, ma immediatamente ci si inizia a chiedersi cosa sia “reale” e cosa invece sia frutto dell’immaginazione dei protagonisti, considerando il loro legame con il mondo del cinema.
Alice (Ayelet Zurer) e David (Gal Toren) sono una coppia di incredibile successo: lei è una regista, da tempo distante dal set, e lui è un apprezzato attore particolarmente popolare tra il pubblico. Marito e moglie sembrano avere un’esistenza agiata e felice, ma nella loro vita entra in scena Sophie (Lihi Kornowski), un’aspirante sceneggiatrice che ha firmato uno script ad alto tasso erotico e violento. Un incontro inaspettato a bordo di un treno porta Alice a scoprire l’esistenza del progetto, nonostante il marito fosse già da tempo coinvolto, e la giovane autrice inizia a causare tensioni e dubbi, oltre a essere circondata da un alone di mistero che potrebbe rivelarsi molto pericoloso.

Losing Alice sfrutta le dimensioni di realtà e finzione con inteligenza per addentrarsi nella mente della protagonista in modo affascinante. Le prime due puntate, mostrate a Canneseries 2020, suscitano facilmente curiosità e interesse grazie alla capacità degli sceneggiatori e di Ayelet Zurer di delineare l’immagine di una donna che nasconde la sua insoddisfazione dietro un’apparente perfezione, ritrovando il suo feeling con una professione messa in secondo piano per occuparsi della famiglia e cercando di mantenere il contatto con le proprie passioni e gli istinti messi a tacere a lungo. Intorno a lei vengono proposti personaggi che fin dalle prime battute appaiono ben costruiti: dal vicino che non nasconde il proprio interesse al marito che non sembra accorgersi realmente delle esigenze della moglie pur cercando in ogni modo di essere presente, fino all’enigmatica Sophie le cui motivazioni sono avvolte da un alone di dubbi e di misteri.
Proprio l’incertezza riguardante le ragioni alla base di azioni e dichiarazioni mantiene alto l’interesse su un intreccio in cui non sembrano mancare nemmeno un omaggio al mondo del cinema e una rivisitazione, ma in chiave femminile, delle tematiche legate all’ossessione e alla passione che hanno alimentato più volte film diventati cult nel corso degli anni.

Tra possibili tradimenti, omicidi e ambizioni silenziose, Losing Alice sembra in grado di tenere alta la tensione e la curiosità per gli otto episodi previsti, tuttavia bisognerà attendere per scoprire se il livello si manterrà costante rispetto ai primi due capitoli della storia.

Canneseries 2020 – Cheyenne et Lola

Due personalità molto diverse sono costrette a unire le forze in Cheyenne et Lola, nuova serie francese diretta da Eshref Reybrouck, e le prime due puntate presentate all’evento Canneseries 2020 mettono in evidenza i punti deboli e quelli di forza di un progetto al femminile.

Cheyenne (Veerle Baetens) è uscita di prigione da sei mesi, lavora come donna delle pulizie e cerca de modi per migliorare i propri guadagni. Lola (Charlotte Le Bon) è invece una giovane estroversa che vorrebbe iniziare una nuova vita con il suo amante, che gestisce un giro di conferenze proponendo quella che sembra un affare, ma è in realtà una truffa economica. La vita delle due ragazze si intrecciano quando Lola va a casa della moglie dell’uomo di cui è innamorata, che è anche una delle datrici di lavoro di Cheyenne, essendosi ritrovata senza un alloggio e soldi. Quando l’ex carcerata arriva a casa della donna la trova morta e si ritrova costretta ad aiutare Lola a liberarsi del cadavere, situazione che la mette in una situazione scomoda con un boss locale. Una serie di eventi inaspettati potrebbe però permettere alla strana coppia di ottenere finalmente l’equilibrio economico.

Veerle Baetens, indimenticabile protagonista di Alabama Monroe, e Charlotte Le Bon sono brave nel sostenere con le loro interpretazioni una sceneggiatura che, almeno nelle prime due puntate, ha più di un passaggio a vuoto. L’intreccio che fonde dramma ed elementi tipici delle crime story possiede un certo fascino, in particolare grazie alla prospettiva femminile agli eventi che riservano non poche sorprese. La regia si sofferma con intelligenza sullo sguardo malinconico e disperato di Veerle, ben equilibrato dall’apparente leggerezza e ingenuità che contraddistingue il personaggio di Charlotte Le Bon, incapace di comprendere inizialmente l’inganno di cui è stata vittima.

I contrasti esistenti tra le due protagoniste funzionano e sono, inaspettatamente, piuttosto credibili, suscitando così la curiosità di scoprire in che modo si evolverà il rapporto tra le due. Nelle prime battute della serie, inoltre, si accenna al passato di entrambi i personaggi principali e gli elementi delineati, se gestiti bene, potrebbero arricchire la storia di quelle sfumature necessarie a dare spessore a un racconto che, se mantenuto nei binari del dramma umano senza addentrarsi troppo nelle ramificazioni del mondo del crimine, ha la capacità di soddisfare buona parte del pubblico televisivo.

Canneseries 2020 – Atlantic Crossing

La serie Atlantic Crossing, presentata in concorso all’evento Canneseries 2020, porta sugli schermi fatti realmente accaduti proponendo una pagina della storia che permette di riflettere su tematiche particolarmente attuali come la reazione di fronte alle ingiustizie, le conseguenze del prendere una posizione e il desiderio di combattere per la propria famiglia.

Gli episodi hanno al centro della trama la famiglia reale norvegese che, quando la loro nazione viene invasa dai nazisti nonostante abbia dichiarato la propria neutralità, cerca rifugio all’estero.
Re Haakon VII (Søren Pilmark) e suo figlio fuggono a Londra, mentre la principessa Marta (Sofia Helin) e i suoi figli inizialmente tornano in Svezia, paese natale della nobile, facendo però i conti con il desiderio di non causare attriti con Hitler. Marta deve quindi trovare un’alternativa e un aiuto inaspettato sembra arrivare dagli Stati Uniti, grazie al presidente Roosevelt (Kyle MacLachlan).

Le prime due puntate mostrate all’evento Canneseries 2020 convincono grazie a un buon equilibrio tra gli elementi politici e personali, proponendo anche delle scene all’insegna della tensione, come il momento in cui Marta cerca di superare il confine con i propri figli mentre i nazisti si avvicinano pericolosamente, nonostante si sappia già il destino delle persone coinvolte.
Il regista Alexander Eik, coinvolto anche come sceneggiatore degli otto episodi in collaborazione con Linda May Kallestein, riesce a far mettere in secondo piano i privilegi che contraddistinguono la vita dei reali per renderli, agli occhi degli spettatori, una famiglia divisa tra gli obblighi legati al proprio ruolo e il tentativo di pensare alla propria sopravvivenza di fronte alle avversità. Sofia Helin è una protagonista davvero carismatica e i pochi minuti in cui è presente Kyle MacLachlan nelle due puntate presentate al festival riescono comunque ad anticipare una dinamica tra le due figure storiche interessanti e dall’ottimo potenziale narrativo.
La buona qualità tecnica e artistica dimostrata dall’esordio dello show contribuisce a delineare le caratteristiche di un progetto televisivo da non perdere che offre anche degli interessanti spunti di riflessione.

Canneseries 2020 – 257 Reasons to Live

257 Reasons to Live affronta il tema della malattia e della voglia di ricominciare con un approccio in stile dramedy che propone una rappresentazione agrodolce degli eventi che affronta la protagonista.
Al centro della trama c’è Zhenhya (Polina Maksimova) che da tempo è una paziente in fase terminale e, a sorpresa, scopre di essere in remissione. La rivelazione che dovrebbe aprirle le porte per un capitolo finalmente positivo e pieno di opportunità si rivela invece la scintilla che fa scivolare nel caos la sua vita. La giovane fa infatti i conti con un posto di lavoro all’insegna dei pregiudizi e le pressioni mentali, con un fidanzato che le ha nascosto a lungo un segreto e con la necessità di trovarsi un nuovo alloggio. Quando Zhenya trova una lista, che aveva scritto quando aveva scoperto di essere malata, inizia a riconsiderare la possibilità di compiere le 257 cose che voleva fare prima di morire, ma con una visione totalmente diversa del mondo.

I primi minuti della serie delineano molto bene la situazione in cui si trova la trentenne dal punto di vista mentale e fisico: Zhenya viene mostrata mentre sta attendendo il proprio turno in ospedale accanto al fidanzato, certa di dover ricevere delle brutte notizie e mentre sfrutta la sua situazione per poter dire ciò che pensa senza filtri, rivolgendosi anche direttamente agli spettatori rompendo così la quarta parete, espediente però non particolarmente originale e usato senza particolare cura.

Polina Maksimova sostiene con bravura il ruolo di una giovane le cui certezze e convinzioni vanno rapidamente in mille pezzi, dovendo persino fare i conti con pregiudizi infondati tra colleghe di lavoro, pressioni mentali e difficoltà.
Le prime due puntate, pur attingendo a situazioni non particolarmente originali, costruiscono bene le basi per una narrazione dall’ottimo potenziale.
Provare empatia per Zhenya, pur con dei passaggi a vuoto della sceneggiatura, la sua determinazione e voglia di ricominciare è infatti particolarmente facile e i personaggi secondari, seppur solamente abbozzati in queste prime fasi della storia, potrebbero dare vita a delle interessanti dinamiche.
Le sfumature comedy, inoltre, anticipano un’atmosfera ricca di contrasti che contribuisce ad aumentare il coinvolgimento degli spettatori, divisi tra l’affetto suscitato da questa giovane la cui vita sembra andare totalmente storta pur essendo finalmente in una situazione positiva, e l’ironia suscitata dalle surreali situazioni che deve affrontare.